[Da Baskerville] Mercoled“, 16 marzo 1994 15:25:12 Lamberto Pignotti: Arte e tecnologia. Soggetto: L'Autore affronta le questioni polisensoriali nella rappresentazione tecnologica, in particolare nella realtˆ virtuale. Lamberto Pignotti nato nel 1926 a Firenze e vive a Roma. Ha insegnato allÕUniversitˆ di Firenze per cinque anni e dal 1971 insegna allÕUniversitˆ di Bologna. Ha pubblicato libri di vario genere: poesia, prosa, saggistica, antologie, poesia visiva. Come poeta visivo ha anche fatto varie mostre personali ed ha esposto in numerose rassegne nazionali e internazionali. Ha collaborato a vari quotidiani, a programmi culturali della RAI, oltre che a svariate riviste italiane e straniere. ----------------------------------------------------------------------------------- Sulla progressiva disattivazione dei cinque sensi e sulla necessitˆ di una riconsiderazione delle loro funzioni e delle loro interazioni, ai fini della comunicazione pratica e soprattutto di quella estetica ed artistica, mi sono soffermato in varie occasioni, di cui non ho affatto lÕintenzione di fare qui il Òriassunto delle puntate precedentiÓ. Diciamo in soldoni che le cose sono arrivate allÕincirca a questo punto: che i singoli organi sensoriali si ignorano sempre pi e che oltretutto sono pigri e inclinano allÕinazione. Forse anche per questo mi attrasse, un paio di anni fa, un film per via del suo titolo, che era questo: Non guardarmi: non ti sento. Per la cronaca si trattava di un lavoro del regista Arthur Hiller, pubblicizzato come un film giallo con un delitto in cui - annunciava il manifesto - Òil sordo non ha visto. Il cieco non ha sentito. Eppure sono gli unici testimoniÓ. Che i singoli sensi siano pronti a scansare le percezioni che non appaiono immediatamente connesse alla loro pi riconoscibile funzione pu˜ apparire perfino naturale, seppure considerato piuttosto naturale che con lÕocchio si possa mangiare una torta che sta in vetrina, o spogliare una donna da lontano, o sentire il temporale in arrivo... Anche per il linguaggio comune naturale che lÕocchio tocchi, gusti, ascolti, o magari annusi. Per˜ la cosa che pi appare naturale, scontata, e anzi ovvia, che lÕocchio guardi. Invece di solito lÕocchio non guarda. Per abitudine lÕocchio si limita a tenere la visuale sotto controllo, a mantenere le distanze, a sorvegliare che le solite cose siano al solito posto. Sono soltanto degli incidenti, degli accadimenti inaspettati - un pugno nellÕocchio, un amore a prima vista, unÕimmagine a sorpresa, un abbaglio madornale... - che mettono veramente in azione lÕocchio. Questo organo sensoriale, usualmente pigro e tendenzialmente passivo, in casi del genere reagisce non pi semplicemente tenendo a bada ci˜ che lo circonda, ma attribuendogli un adeguato grado di considerazione. La consueta disattenzione ottica si converte in attenzione visiva, lÕinterruzione della ÒsvistaÓ continua determina il recupero della ÒvistaÓ temporanea. Si configura insomma quella vaga differenza che il vocabolario pone tra il verbo ÒvedereÓ, che sta generalmente a indicare il mero percepire con gli occhi, e il verbo ÒguardareÓ che indica piuttosto lÕaspetto durativo o intensivo della medesima azione. Guardare faticoso, guardare continuamente impossibile.Abitualmente lÕocchio vede quello che preparato a vedere. Di continuo si allena a Òpre-vedereÓ. EÕ lÕesperienza, lÕinsieme delle cognizioni pratiche, il complesso delle acquisizioni culturali, il catalogo degli emblemi pronti per lÕuso, il repertorio delle sequenze visive ricorrenti, che gli permettono di svolgere lÕordinaria mansione di ÒguardianoÓ. EÕ suo compito individuare spigoli, margini, ostacoli, botole, gradini... EÕ anzi meglio prevederli. Per tale compito esso viene automatizzato e quasi programmato. Ogni campo dÕazione visivo ha la sua Òvista pre-vistaÓ. EÕ da questa implicita constatazione che si fonda ad esempio anche lÕidea del video-gioco o quella dei sistemi di interazione. Curiosamente i programmi di Òvista pre-vistaÓ possono dar luogo talora allÕeffetto dellÕÓimmagine immaginataÓ: per un attimo mi vedo nello specchio che stato spostato; per un attimo vedo lÕorologio che non mi sono ancora messo al polso... Se in condizioni normali lÕocchio portato a pre-vedere, in non pochi casi esso pu˜ inclinare perfino a Òstra-vedereÓ. Stravede infatti lÕocchio dellÕamore, nonchŽ quello dellÕodio. E cÕ anche lÕocchio che Ònon vedeÓ: ad esempio quello che non vede che il re nudo. LÕocchio cos“ abituato a non vedere o a stravedere, talmente programmato a prevedere, che in non pochi casi si convince di aver visto anche se avere esercitato effettivamente la sua funzione. Diverse storie dellÕarte sono state scritte senza aver visto le opere originali, ma solo riproduzioni, qualche volta in bianco e nero. Diverse recensioni vengono fatte dopo aver sfogliato un catalogo illustrato e risparmiandosi di andare ad una mostra. Talora ci si informa circa i quadri che dipinge un pittore, o circa le vedute che offre un viaggio turistico. Cos“ facendo lÕocchio si risparmia, e a un tempo si convince di aver Ògiˆ vistoÓ. Il che anche vero: chi arriva per la prima volta di fronte alla Gioconda o alla Statua della Libertˆ, le aveva giˆ viste. In cartolina, nel fascicolo dellÕenciclopedia, sulla guida illustrata... Le aveva giˆ viste non effettivamente, non realmente, ma potenzialmente e virtualmente. Non cÕ quasi nulla di paradossale ad accorgersi che lÕocchio quotidianamente fa in genere pi riferimento a una Òrealtˆ virtualeÓ che a una Òrealtˆ naturaleÓ. EÕ in fondo per riconoscere questÕultima che esso deve partire dalla supposizione che esista una sorta di repertorio della realtˆ allo stato potenziale e virtuale da mettere volta a volta in atto. Se le necessitˆ pratiche dellÕindividuo, lÕandamento consueto delle cose, lÕenciclopedia economica del sapere, le griglie dellÕordine sociale - in una parola: lÕÓabitudineÓ - inducono lÕocchio a guardare il pre-visto e il giˆ visto - la Òrealtˆ virtualeÓ, cos“ come appare nella quotidianitˆ - con la sostanziale conseguenza di fare a meno di guardare dal vero, allÕocchio che vuole esercitare la sua funzione si impone il problema di reagire allÕabitudine. Tutte le volte dunque che lÕabitudine spinge a ficcare lÕocchio addestrato al posto prestabilito, vale a dire ÒlÕocchio giusto al posto giustoÓ, in modo che lo sguardo risulti pi o meno un mero riscontro della realtˆ, opportuno domandarsi se non sia piuttosto il caso di Òficcare lÕocchio giusto al posto ingiustoÓ, o magari di Ò ficcare lÕocchio ingiusto al posto giustoÓ. Ci˜ non per arrivare a costruire una visione distorta del mondo, ma per far s“ che lo sguardo non si limiti a scivolare sulla realtˆ. In fondo la storia delle arti visive, del linguaggio della visione, rispecchia assai questa preoccupazione. LÕocchio dellÕartista ha teso durante i secoli a comunicare con la sua opera un crescente grado di realismo alla realtˆ osservata - lÕimitazione della natura, lÕottemperanza alle leggi della prospettiva, la tendenza a perseguire un effetto di trompe-lÕoeil... - cercando cos“ di attirare lo sguardo tramite una scrupolosa e a volte ossessiva adesione alle leggi della natura, oppure ha teso, al contrario, a scostarsi da quelle stesse norme con una serie innumerevole di deviazioni che, dal Manierismo alle avanguardie novecentesche, intendono in vario modo trattenere e far riflettere un osservatore visualmente pi accorto e indottrinato. La rigida e drastica contrapposizione di queste due tendenze va ovviamente qui intesa come un mero schema di riferimento orientativo e non intende essere buona per tutti gli usi. Si pu˜ cautamente osservare comunque che lÕintroduzione e lÕimpiego di inedite tecniche artistiche inclina nel periodo iniziale a mettere in moto e a perseguire la ricerca di unÕadesione progressiva al modello realistico, fino al momento di una sua saturazione. A quel punto scattano ed entrano in funzione processi correttivi e modalitˆ reattive tendenti a sviare e far variamente deragliare lÕesperienza estetica dai binari della verosimiglianza. Il modello a tal proposito pi emblematico quello della fotografia. Quando la fotografia diventa tecnicamente iperrealistica, quando lÕocchio si assuefatto a una tale perfezione e non lÕavverte pi come un Òmessaggio specialeÓ, il fotografo spinto a riflettere sul linguaggio che usa e a concepire messaggi con una differente grammatica e sintassi visiva. Qualcosa del genere, anche se in modi meno evidenti e paradigmatici, successo nel frattempo, e sta succedendo, anche al cinema, alla televisione, allÕolografia, allÕimmagine elettronica in generale. Ponendosi di fronte a un campo visivo come uno schermo o un video, lÕocchio cerca di lavorare con il minor dispendio di energia, affidandosi alle abitudini quotidianamente acquisite. Anche in casi del genere lÕocchio tende non tanto a guardare, quanto a vedere scenari pre-visti. Solo in occasioni singolari o eccezionali lÕocchio riesce a cogliere il Ònon-previstoÓ, a imbattersi nellÕÓim-previstoÓ, come quando lo speaker si mette le mani nel naso, la regina inciampa, il congressista sbadiglia, il ministro ingurgita avidamente il tramezzino, la cantante fa cadere il microfono, il capo del Governo si tira su i calzoni, il corrispondente dallÕestero perde lÕuso della parola perchŽ andato via lÕaudio... Lo sguardo insomma smette di sorvolare automaticamente il corso delle immagini non appena esse fanno assistere un deragliamento dai Òbinari del programmaÓ, fissando di conseguenza la sua attenzione sul tipo di Òrefuso visivoÓ che si determinato. Ne possono allora venire fuori certe situazioni inusuali o addirittura paradossali - Òfuori programmaÓ - che anche una trasmissione come Blob, almeno nella sua fase iniziale e meno replicante, ha messo in risalto. Se nel panorama della vita quotidiana opportuni far s“ che la vista, per lÕinerzia tendenziale e comprensibile del suo organo, si abitui progressivamente a vedere non soltanto il pre-visto, nel panorama proposto dai nuovi mezzi tecnologici conviene ragionevolmente evitare che lÕocchio venga incanalato inconsapevolmente in un programma di realtˆ confezionata. LÕessenziale sapere quale il ÒcanaleÓ e quale il ÒprogrammaÓ che lÕocchio sta seguendo. Allo stato delle cose, oggi, nel campo dellÕimmagine elettronica, viene offerto alla vista ci˜ che stato in differita, ma anche in diretta, strettamente programmato o prestabilito in una struttura programmata. Perfino la rissa e lÕincidente possono essere in certe trasmissioni opportunamente messi in lista di attesa, attivati, regolati e controllati. Almeno fino a questo momento, anche le svariate esperienze in corso che fanno riferimento allÕaccezione e allÕidea di Òrealtˆ virtualeÓ, o ÒsimulataÓ, o ÒartificialeÓ, e che prevedono la presenza e lÕinterazione di un individuo - del suo corpo, di un suo arto, di un suo organo, di un suo veicolo... - allÕinterno di una sequenza visiva pre-registrata, oppure la sua immersione fittizia in una situazione pluri-sensoriale, vengono prevalentemente intese come una realtˆ prodotta da programmi precisati o circoscritti. UnÕinsidia racchiusa nel campo in questione rappresentata dal fatto che le immagini vengono qui per lo pi intese come il rispecchiamento della realtˆ, tenendo con ci˜, almeno in prospettiva, a sostituirla. Per caritˆ, nulla di male a prendere atto che anche i vari modi di presentarsi della realtˆ virtuale rappresentano una forma di realtˆ, me bene non confondere la parte con il tutto. La realtˆ virtuale e le immagini da essa determinate e ad essa variamente riferibili, aggiungono qualcosa al reale ma non lo rimpiazzano, non lo svuotano. E in certi casi cÕ proprio da rimpiangere che la mitica Òvernice di LambicchiÓ non sia cos“ efficace come prometteva il vecchio Corrierino... Pu˜ cadere a questo punto opportuna una considerazione di carattere semiologico. Una cosa la cosa, unÕaltra cosa la parola che nomina la cosa, unÕaltra cosa ancora la raffigurazione della cosa, come da tempo ci mette sagacemente sullÕavviso Magritte ponendo sotto la nota immagine di una pipa la scritta ÒCeci nÕest pas une pipeÓ. Conseguentemente non cÕ bisogno di allestire grandi manovre mentali o di addentrarsi in dotte disquisizioni cognitive per affermare che una cosa una pipa, unÕaltra cosa una pipa virtuale... Non vorrei a questo punto generare il sospetto di essere uno che ha dei preconcetti nei confronti della realtˆ virtuale. TuttÕaltro. Pur non essendone uno ÒspecialistaÓ, mi sento un Òcultore della materiaÓ. Ho drizzato le mie orecchie alle sue prime apparizioni sulla scena, mi tengo informato sui suoi sviluppi, le do uno spazio considerevole in alcune delle mie lezioni universitarie al DAMS, ne ho scritto anche nel mio libro di saggi I sensi delle arti, appena pubblicato dalle Edizioni Dedalo. Proprio per questo, e dopo aver dedicato qui alcuni capoversi per mettere in guardia contro quella specie di realtˆ virtuale abitualmente proposta dalla pigrizia dellÕocchio cosiddetto naturale, penso sia utile dedicare qualche altro capoverso per mettere in guardia nei confronti di un altro genere di realtˆ virtuale, che ora viene proposto in veste neo-tecnologica. Con lÕintroduzione e la diffusione dei nuovi media, in particolare di quelli che consentono un certo grado di interazione, assistiamo a un processo in cui gran parte della realtˆ ÒoggettivaÓ o ÒnaturaleÓ tende a trasformarsi, in vario modo e misura, in realtˆ ÒsimulataÓ o ÒvirtualeÓ. Questa realtˆ per˜, oltre che simulata, duplicata, virtuale, appare manifestamente anche ÒampliataÓ. Per esempio il soggetto che entra in relazione con una macchina, virtualmente pu˜ volare, pu˜ guardare da angolazioni incompatibili con le usuali prestazioni dellÕocchio umano, pu˜ infrangere la legge della incompenetrabilitˆ dei corpi, pu˜ afferrare oggetti non a portata di mano, pu˜ avere percezioni che i normali organi sensoriali non sono in grado di ricevere. Al limite il processo induce il soggetto a incorporare e fare suoi i sensi della macchina. A questo punto per˜ si verifica, seppure inavvertitamente, un fatto compiuto, una modificazione radicale. Accade infatti che la macchina stata - distrattamente, tacitamente - delegata a rappresentare allo stesso tempo sia la realtˆ ÒvirtualeÓ, sia i cinque sensi altrettanto ÒvirtualiÓ. La realtˆ ÒvirtualeÓ trasmessa interattivamente in diretta destinata a trarre in inganno il soggetto immediatamente e principalmente attraverso la vista ÒvirtualeÓ - e siamo al trompe-lÕoeil in versione neo-tecnologica - ma successivamente anche attraverso tutti gli altri sensi ÒvirtualiÓ. DallÕÓeffetto trompe-lÕoeilÓ, che viene perfezionato e quasi istituzionalizzato, si giunge cos“, come ho giˆ avuto modo di rilevare, allÕÓeffetto trompe-les sensÓ. Stando cos“ le cose non fuor di luogo domandarsi con quale realtˆ e con quali sensi abbiamo ormai a che fare ogni volta che veniamo a trovarci in un orizzonte neo-tecnologico. Abbiamo infatti rilevato che da un lato si avuto un trasferimento, uno scollamento, della realtˆ dalla sua sede originale, e dallÕaltro si verificata una trasposizione, e anche qui una disgiunzione, dei sensi dal nostro corpo. A ben riguardare per˜ quella realtˆ - oltre a risultare scollata dal modello originario - anche finalizzata al programma di una macchina, e quei sensi - oltre a risultare scollati dal nostro corpo - si rivelano non casualmente sintonizzati proprio su quel programma, tanto da far sospettare che essi abbiano in pratica assunto le caratteristiche dei terminali della macchina stessa. In un simile processo di comunicazione, in cui di fatto la realtˆ oggettiva viene via via sostituita da quella simulata e programmata, e i sensi umani vengono progressivamente rimpiazzati dai terminali di una macchina - come a suggerire che il Òtrompe-lÕoeilÓ e il Òtrompe-les sensÓ neo-tecnologici non sono in definitiva una copia ben riuscita della realtˆ, ma al contrario proprio lÕoriginale di essa corretto e adattato alle nuove esigenze - il soggetto sembra destinato a perdere la propria identitˆ e la propria autonomia a tutto vantaggio della macchina. Non da oggi del resto che tra le prospettive del futuro figurano quelle in cui il ruolo della macchina viene visto come variamente sostitutivo di quello dellÕuomo. I mondi dellÕutopia e gli universi della fantascienza ne offrono anzi un campionario esorbitante. La macchina tuttavia pu˜ essere ipotizzata in una proiezione apocalittica come un congegno mostruoso che rimpiazza in parte o del tutto gli organi sensoriali dellÕuomo fino al suo annientamento, ma pu˜ essere raffigurata, in una visione pi ottimistica, anche come un apparato benevolo capace di coadiuvare, affinare, e forse addirittura accrescere di numero, i sensi stesi. Siffatto apparato, senza con ci˜ accingersi a fare il salto in lungo dai luoghi della catastrofe a quelli dellÕidillio, potrebbe essere suscettibile pure di approfondire gli stessi processi della percezione. Non per ingenerare reazioni di rinuncia o rigetto che preventivamente abbiamo qui messo in luce i rischi che in un processo di comunicazione lÕimpiego dei mezzi neo-tecnologici pu˜ comportare per lÕindividuo. Avvertire dei possibili incidenti di percorso, avvisare circa i prevedibili tratti accidentali, mettere in guardia dalle biforcazioni ingannevoli, non significa sconsigliare dal prendere una strada che pu˜ portare lontano. Anche se lÕuomo dovrˆ rassegnarsi a un ulteriore spostamento dal centro dellÕuniverso, lÕuso accorto delle nuove tecnologie fa intravedere in prospettiva proprio potenzialitˆ tecniche e linguistiche atte a sviluppare comunicazioni che coinvolgano tutti i sensi, a sollecitare il ripensamento di grammatiche tattili, olfattive, gustative e plurisensoriali, a mettere meglio in luce in essi fra i vari sensi, a correggere gli scompensi fra quelli che allora vengono avvertiti come sensi superiori e quelli che sostanzialmente vengono trattati come sensi inferiori. Mentre nellÕimpostazione tradizionale - e tuttora concretamente vigente - della comunicazione il rapporto fra lÕuomo e lÕambiente viene avviato frazionando di fatto lÕidentitˆ del soggetto, a partire dai privilegi attribuiti allÕocchio e allÕorecchio a scapito degli altri organi sensoriali, e riducendo a unitˆ discrete il mondo in modo da indurre a interpretarlo come una serie di addendi linguistici, la comunicazione neo-tecnologica pu˜ essere impostata in maniera globale, ripristinando lÕeffettiva interconnessione fra i cinque sensi dellÕindividuo, reintegrando la totalitˆ percettiva dellÕambiente e affrontando di conseguenza pi agevolmente la maggiore complessitˆ dei suoi linguaggi. In prospettiva sono ipotizzabili in questo quadro forme di registrazione suscettibili di conservare non solo messaggi verbali, sonori, visivi e plastici, ma anche messaggi tattili, termici, alimentari, odorosi... Inutile aggiungere che lÕipotesi di un futuro pi o meno remoto, di poter conservare, consultare, ri-esaminare, ri-percepire, ri-sentire, messaggi di ogni provenienza sensoriale - ipotesi che solo un secolo fa era ancora ritenuta inconcepibile per la dimensione del suono - va ragionevolmente affacciata con dosi massicce di cautela, ma a un tempo con la convinzione che il suo verificarsi darebbe luogo allÕapertura di spazi immensi e ora impraticabili per la comunicazione e per la ricerca estetica. Va da sŽ che questo uno dei possibili scenari che lÕevoluzione neo-tecnologica pu˜ predisporre qualora Òil sonno della ragione non generi mostriÓ. Ma qui entra in gioco fin dÕora anche il ruolo dellÕartista. Occorre che egli, varcando la soglia virtuale, tenga bene i piedi per terra e, addentrandosi nel labirinto simulato, porti strettamente con sŽ il filo dÕArianna. PoichŽ lÕimmagine elettronica e la realtˆ virtuale tendono a offrire la verosimile percezione di avere il dono dellÕubiquitˆ, di essere ÒquiÓ dove trasmetto e ÒlˆÓ dove mi si vede e mi si ascolta, proprio lÕartista che pi di ogni altro tenuto a porsi questo rapporto, facendo presente cosa cÕ fuori dai margini del video, cosa cÕ oltre lÕinquadratura televisiva, cosa cÕ intorno al dispositivo che fa percepire un mondo replicato. EÕ augurabile perci˜ che lÕartista neo-tecnologico non si lasci comunque abitualmente prendere la mano dal mezzo. Formalmente: dalle sue capacitˆ e prestazioni virtuosistiche, mirabolanti; sostanzialmente: dalla sua potenza ingegneristica, dai suoi programmi, dalle direttive esplicite e implicite dei suoi programmatori. CÕ sempre interesse in giro a sostituire il pensiero e la fantasia individuale con dei programmi predisposti dÕautoritˆ. Preso atto di ci˜ il caso che lÕartista sia sempre pronto a respingere al mittente siffatti programmi, timbrandoli con il proprio pensiero e la propria fantasia. Per noi gente comune, e magari di larghe vedute, la realtˆ pu˜ essere perfino virtuale, ma per loro produttori lÕutile deve essere sicuramente ed esclusivamente reale.