[Da Baskerville] Mercoled, 16 marzo 1994 15:51:40 Roberto Terrosi: Naturalezza dell'artificiale Roberto Terrosi allievo del filosofo Mario Perniola e si occupa di nuovi media. Ha curato "CYBER-SURF" (Roma, 1992), partecipato come relatore a "CYBERNAUTI" (Bologna, 1993). Collabora alla rivista Codici Immaginari. Ha progettato la rete ipertestuale e realizzato le illustrazioni di un CBT dimostrativo sulla storia, nonch scenari di realt virtuale non immersiva su Mandala System. E' impegnato nella realizzazione di Infosfera, fanzine su floppy disk. ---------------------------------------------------------------------------- I sostenitori della musica tonale, messa in crisi in questo secolo da sperimentazioni di ogni genere, portano, a riprova della sua validit universale, l'argomentazione della "naturalezza" di questo sistema. Ovvero essi ritengono che il sistema tonale, essendo basato sul calcolo degli armonici e quindi su di un principio confermato dalla fisica dell'acustica, sia un sistema oggettivamente valido al di l di ogni considerazione storico-geografica. Invece le analisi condotte in ambito etnomusicologico dimostrano tutt'altra cosa: le diverse culture organizzano variamente l'aspetto delle produzioni sonore, andando anche oltre l'uso tout-court di frequenze determinate, come nei casi di musiche fondate sull'uso di strumenti percussivi. Dunque la presunta "naturalezza" del sistema della musica tonale risulta, al contrario, essere parte dello specifico culturale della musica occidentale. Non solo esso un sistema artificiale come quelli "seriali", a cui si contrappone, ma in pi la sua artificialit comprende la dissimulazione dell'artificialit stessa. Potremmo dire allora che parte dell'artificialit della musica tonale sta paradossalmente nello spacciarsi per "naturale". Il naturale e l'artificiale rappresentano quindi non canoni univarsali, ma "tematiche", rivolte ora a mettere in luce la convenzionalit o all'opposto la fondatezza di un qualcosa. Come tematiche esse sono soggette a una variabilit storica. Si pu tracciare una genealogia del loro significato: per Cicerone la natura non era l'ecosistema a cui pensano i Verdi o il paesaggio boscoso a cui pensa il turista, la natura era invece l'origine delle cose, quindi non era tanto il "regno della natura" quanto "la natura di qualcosa o di qualcuno". Allo stesso modo l'arte era il sapere tecnico acquisibile per realizzare qualcosa. L'artificiale (al contrario dell'arte) risente di questo suo legame con il patrimonio delle conoscenze apprese, ma non in quanto principio bens in quanto prodotto e in quanto escluso per definizione dal regno della natura. Cicerone sosteneva che alla bravura di un oratore contribuivano sia l'arte che la natura e cio sia la preparazione tecnica che le proprie doti innate. Nell'antichit l'artefice viene considerato una figura positiva: per i latini bisogna essere artefici della propria sorte, il che significa gestire i propri destini superando gli ostacoli che ci pone la natura umana e che si manifestano nell'imperversare degli istinti e delle passioni. La dottrina morale ellenistico-cristiana combatte cos ci che di "naturale" vi nell'uomo in favore dell'artificialit della cultura. L'artificiale contraddistingue l'universo della tecnica da ci che fuori di essa, distingue l'ambito dell'umano da ci che si genera al suo esterno. Ma non per questo esso viene considerato pi rassicurante. Se la citt nell'antichit era lo spazio noto che ridisegnava il mondo, interpretato in termini simbolici, contrapposto al caos dello sconosciuto mondo delle forze della natura, oggi essa stessa uno spazio inquietante e caotico, una "natura seconda" rispetto alla quale la natura degli antichi appare tranquillizzante. L'artificiale viene in questo modo a contrapporsi all'umano. La tecnica sviluppa un discorso basato sulla razionalit scientifica che si pone in una sfera lontana e avversa all'universo simbolico sacrale, che costituiva la "tecnica prima" di comprensione e riduzione della complessit del mondo. La stratificazione e la specializzazione dei saperi fanno s che essi si allontanino dal patrimonio comune delle conoscenze e dai "bisogni" di interpretazione simbolica del vissuto culturale degli individui. A questo proposito si pu ricordare ad esempio il discorso fatto da Elemire Zolla a introduzione della sua opera sulla storia del misticismo in Occidente. Egli sottolinea come fino all'avvento del pensiero scientifico la cultura occidentale era costituita da un complesso di conoscenze che davano l'idea di un legame anche tra gli aspetti pi diversi del mondo, sulla base di apparentamenti analogici, come avveniva ad esempio per l'astrologia che assemblava in un rapporto di continuit i fatti dell'astronomia con quelli della psiche umana. Questa mappa simbolica poneva l'uomo al centro di una rete che non solo interpretava il reale ma che soprattutto dava una collocazione culturale all'esistenza. Il discorso scientifico ha invece aperto gli orizzonti e ha inserito l'esistenza degli individui in una rete di nessi causali in cui essi hanno una grande capacit d'interevento ma non hanno pi un "luogo" da cui parlare. La scienza afferma il campo del possibile e non sancisce ruoli predeterminati e rassicuranti. E' in questa dinamica che avviene lo scollamento tra l'artificiale e l'umano. Ed per questo motivo che appare tanto pi inquietante il fatto che esso si appresti a riavvicinarsi all'unit biologica dell'uomo per confondersi magari con essa. Se l'antichit era ossessionata dall'esigenza di doversi distinguere dalla "natura", in quanto questa costituiva ci che era estraneo e incontrollabile, adesso sente la necessit di distinguersi dall'artificiale per gli stessi motivi. Il senso della bioetica sta proprio in questo rovesciamento di fronte: l'esigenza di tutelare, ora, la naturalezza dell'uomo. Sulla natura si speculato molto negli ultimi anni andando dalle ipotesi pi avvedute dell'ecologismo a quelle pi "modaiole" della macrobiotica. La natura ora un qualcosa da salvare, da tutelare e preservare dall'avanzata dell'artificiale. La natura non ha pi zone d'ombra, non esistono pi territori nella natura in cui pu succedere di tutto, zone popolate da creature fantastiche e minacciose, diversamente queste zone d'ombra vengono ora attribuite all'artificiale. Si gi sviluppata una mitologia metropolitana in proposito fatta di virus sintetici, armi segrete terribili, presunte conoscenze del Pentagono sulla vita extraterrestre mai rivelate e cos via. L'artificiale anzich essere il territorio delle idee chiare e distinte diviene il luogo prescelto dall'immaginario demonologico. Sull'artificiale pesa inoltre un'altra eredit negativa: quella della hybris tecnologica, dell'uomo demiurgo che, sostituendosi alla natura, d vita a creature che inesorabilmente gli si rivoltano contro. Tale tradizione ha rivissuto una stagione felice con la letteratura di fantascienza dell'ultimo scorcio di secolo, piena di robot che si ribellano fino ai Terminators che cercano di sbarazzarsi completamente della specie umana. Altra considerazione che infine si pu aggiungere rispetto all'antichit proprio quella relativa al tipo di creature fantastiche cui d luogo un'immaginazione del pericolo. Il pericolo in questo caso quello che il diverso, rispetto al quale noi stabiliamo la nostra identit, ci contamini, mettendo a repentaglio quell'identit stessa. Per gli antichi il timore della contaminazione andava verso il naturale e si esprimeva di conseguenza nella contaminazione tra uomo e bestia, il Minotauro, e tutta la nutrita serie di creature biformi era ci che incarnava il mostruoso; oggi tutto questo viene proiettato nell'ambito dell'artificiale, e ha come riferimento tipico la figura del cyborg, met uomo met macchina. Se l'uomo-bestia proviene da un mitico passato, il cyborg viene dall'immaginazione di un prossimo futuro. Dunque "natura" e "artificiale", sotto certi aspetti, si sono scambiati di ruolo nel corso del tempo. Se questo vero per quanto riguarda la loro negativit simbolica all'interno della nostra cultura, uno scambio o una indeterminatezza tra queste facce della nostra cultura si riscontra anche in proposito ad altri ordini di considerazioni. Ce li ricorda ad esempio Pier Luigi Capucci nel suo recente saggio Realt del virtuale. In questo saggio infatti Capucci fa partire la sua analisi proprio dagli atteggiamenti sviluppati nei confronti dell'artificiale da quelli che lui chiama "intellettuali regressivi", che sono coloro che hanno sviluppato un atteggiamento "apocalittico" nei confronti delle nuove tecnologie, nelle quali sostanzialmente vedono il pericolo della concretizzazione del mito negativo dell'artificiale ora descritto. Abbiamo finora mostrato come l'artificiale succeda storicamente al naturale nell'immaginario collettivo, ma Capucci mostra come accada anche l'inverso, e cio come avvenga per altri versi una naturalizzazione dell'artificiale. La bicicletta, gli occhiali, la penna ecc., anche nel momento in cui sull'artificiale vengono proiettate le ombre del pericolo e la natura viene riscattata nella sua positivit, vengono percepiti non certo con quella diffidenza con cui ci si rivolge alle ipertecnologie, ma con l'umanit e la rilassatezza con cui ci si rivolge ora alla natura. La presenza di questi strumenti si fa naturale. William Burroughs guarda alla sua vecchia macchina da scrivere come a un vecchio coleottero parlante con cui fare conversazione. La tecnologia anche in questo caso, come, in senso negativo, accade con la citt, diviene "natura seconda", ma stavolta essa non un elemento da culturalizzare bens essa "natura seconda" proprio in quanto gli strumenti di cui si compone sono stati culturalizzati tanto quanto lo stata la natura. D'altronde, osserva ancora Capucci, vengono da sempre considerate naturali tutte le soluzioni "tecnologiche" adottate dagli animali, come la costruzione della tana o l'utilizzo di sassi e rami come strumenti da parte, ad esempio, di alcuni primati. L'artificiale , in un certo senso, gi presente nella natura stessa. Allo stesso modo il naturale da sempre presente all'interno dell'artificiale: ce lo ricorda Lyotard quando dichiara che qualsiasi elemento tecnologico comunque composto, a livello microscopico, di elementi naturali. Dunque l'artificiale e il naturale non possono essere semplicemente considerati come due poli, due concetti definiti che si oppongono l'uno all'altro. Ci che viene messo in discussione cos lo stesso criterio di demarcazione del binomio artificiale/naturale. Per cui risulta insensata sia la posizione dell'"intellettuale regressivo" quanto quella del feticismo tecnologico (contro il quale si schierano anche Capucci e Lyotard), poich entrambi guardano all'artificiale o alla natura in modo manicheo. Esistono invece altre strade della culturalizzazione di questo ambito. Un primo esempio a questo riguardo lo hanno dato le tendenze cyberpunk e situazioniste che sono state capaci di appropriarsi da subito dell'uso delle nuove tecnologie stravolgendo la funzione a cui esse erano state destinate, per piegarlo alle proprie esigenze simboliche e sociali. Ma per fare ci occorre essere con la mente un passo pi in l dell'innovazione tecnologica. Cos come bisogna sempre guardare al poi quando si ha a che fare con questioni che riguardano l'ecosistema. Non servir a nulla dunque difendersi dalla tecnologia, ma servir casomai una cultura della lungimiranza, una nuova saggezza per l'et dell'elettronica.