[Da ZNorth] CONSIDERAZIONI PSICOLOGICHE SU: MONDO INTERNO DEI BAMBINI SORDI, COMPUTER E APPRENDIMENTO. P. Garassino1, B. Mantovani,2 E. Tesio3 AREA - Torino RIASSUNTO L'articolo prende in considerazione l'esperienza del laboratorio "La bottega della fiaba elettronica" per svolgere alcune riflessioni psicologiche sul modello di lavoro adottato, sulle conseguenze prodotte sull'apprendimento, sul contesto relazionale ed emotivo che ha consentito la costruzione di una fiaba, in un percorso in cui i bambini hanno scoperto un senso e dato un significato a quanto andavano facendo. Parallelamente vengono esaminati alcuni nodi evidenziati dai genitori in un gruppo che ha discusso l'esperienza che si andava costruendo. PAROLE CHIAVE Bambini sordi, computer, apprendimento, genitori. 1. INTRODUZIONE Le considerazioni sviluppate in questa comunicazione riguardano dati osservativi raccolti durante l'esperienza de "La Bottega della fiaba elettronica" laboratorio sperimentale per bambini sordi, organizzato dall'AREA. Lo scopo quello di porre il lettore dal nostro punto di osservazione: verificare se la presenza di uno strumento potente e accattivante come il computer diminuisse l'ansia dell'apprendere, insita in ogni processo di apprendimento, e favorisse tout court l'acquisizione di nuove conoscenze nei bambini sordi. L'obiettivo della "Bottega", pur essendo preciso, la costruzione di una fiaba, aveva in s i connotati dell'esperienza ludica, di un ambiente il pi possibile accogliente e sereno, condizioni ideali per l'elaborazione di un percorso all'apparenza facile e facilitante. Non sappiamo dire, al punto in cui siamo nella raccolta di osservazioni, se le considerazioni svolte di seguito siano generalizzabili a 'tutti i bambini sordi', o a tutti i bambini indifferentemente. Certo l'attenzione e le sottolineature riguardano da un lato la storia di questo specifico gruppo di bambini, per come si andato costituendo e costruendo, dall'altro non hanno la pretesa di sovrapporre al singolo bambino caratteristiche che si sono svelate soltanto nell'interazione particolare di questo specifico incontro di gruppo. Ci auguriamo a questo proposito di sollevare alcuni interrogativi che riguardano non tanto le caratteristiche del mezzo o le potenzialit cognitive o, ancora, le modalit cognitive insite nei software, quanto pensieri sul contesto d'uso del computer e sulle modalit relazionali implicate quando questo viene utilizzato in gruppo e come tramite per la realizzazione di un compito comune. L'articolo, infine, esamina anche la storia costruita dai bambini e mette in relazione il contenuto con le vicissitudini dell'apprendimento. Altra importante angolazione osservativa stata il gruppo dei genitori, impegnato in un originale percorso di conoscenza, per certi versi parallelo a quello dei bambini. 2. LO STRUMENTO DI LAVORO: LA "CHILDREN OBSERVATION" La metodologia adottata quella dell' "Infant observation"4 che consente di porsi di fronte alla realt, non per spiegarla, ma per registrare le relazioni tra i fatti, cogliendone le dimensione sociale ed emotiva. L'osservazione consente di cogliere i dettagli della situazione e soprattutto l'evoluzione del processo di crescita che l'osservatore vede svolgere davanti a s; nello stesso tempo fornisce una possibilit di lettura del proprio contro-transfert. Infatti l'osservatore, come sostiene E. Bick,5 nello stesso tempo neutrale e partecipe. Neutrale perch egli deve rinunciare a parlare, ad agire, a scrivere, deve cio astenersi da ogni giudizio ed intervento. L'osservatore deve "vivere nel momento abbandonando memoria e desiderio" 6 E' per partecipe perch la sua presenza avvertita ed ogni suo bench minimo movimento seguono reazioni negli osservati. Inoltre l'osservatore stesso, pur non colludendo coinvolto nell'esperienza e la vive con tutta la sua persona. L'osservazione quindi contemporaneamente distanziamento da s e ritorno a s, arricchiti dall'esperienza dell'oggetto. Le osservazioni effettuate vengono poi trascritte in "protocolli" e discussi in gruppo di supervisione. Le osservazioni sono state effettuate da due laureande in Psicologia. 3. L'OSSERVATORE NEL GRUPPO DEI GENITORI. Allo stesso modo nel gruppo dei genitori vi stata la presenza, oltre che del conduttore, di una laureanda in Psicologia che svolgeva la funzione di osservatore nel gruppo, essendo, tra l'altro, questo uno dei compiti richiesti dal proprio 'Tirocinio pratico guidato' previsto dal curriculum universitario. 4. IL GRUPPO DEI BAMBINI Il clima emotivo dei primi incontri di laboratorio il predominare nel gruppo della confusione, del non comprendere il significato di ci che si sta facendo: i bambini sembrano molto regrediti al punto che, messi di fronte a giochi di non grande complessit, non riescono a giocare. Questo comporta il prevalere di comportamenti di aggressione (verbale/gestuale - presa in giro, derisione, evidenziazione delle altrui incapacit -, ma talora anche fisica, - pizzicotti) nei confronti dei compagni. Davanti ad un "oggetto nuovo" sia esso il computer o il software proposto i bambini si sentono incapaci, non all'altezza, confusi. Ma tutto questo 'non detto' n 'verbalizzato', il segno di una non mentalizzazione e viene evacuato nell'agire, nel comportamento. Spia di questo stato di incertezza, di timore e del prevalere di ansie persecutorie, ad es. il modo in cui viene accolto nel gruppo l'arrivo delle due osservatrici: curiosit e desiderio di renderle "parenti" della conduttrice ("E' tua sorella?", "E' tua cugina?"), c' bisogno cio di rendere non inquietante, 'familiare' ci che nuovo. Renderlo 'familiare' per negarne la diversit e la paura. Infatti che ci sta a fare una persona che osserva e guarda ma non fa nulla? L'impressione di spaesamento, che i bambini non riescano a dare un senso alla loro presenza in quel posto nuovo costituito dal laboratorio. Altro elemento che emerge la vergogna nel 'mostrare' al gruppo il frutto del proprio lavoro al computer: con difficolt fanno vedere ai compagni i disegni realizzati. Sembra che esista nella loro mente un modo solo per realizzare un prodotto e che 'quel modo' sia l'unico giusto. Di fronte alla consegna di dividere un foglio di carta in due parti per inserire da un lato i personaggi e dall'altra gli ambienti incontrati nei giochi, un bambino piega il foglio a met, l'altro che stava tracciando una riga in mezzo, cancella rapidamente e, nonostante il conduttore dica che giusto procedere anche il quel modo, 'copia' il modo di fare del compagno, ritenuto l'unico corretto. Vi dunque molta preoccupazione di sbagliare per il timore, forse, di non essere accettati. [Abbiamo ritenuto l'episodio non attribuibile ad una certa 'rigidit cognitiva' del bambino sordo, in quanto pi avanti, nel prosieguo dell'esperienza, diventato possibile procedere per strade diverse per conseguire lo stesso risultato.] Di fronte a questi problemi iniziali legati al processo di apprendimento di nuovi contenuti per mezzo di macchine, Dario ha bisogno di prendere materialmente una matita del laboratorio per portarsela a casa: l'idea sembra essere che non ci si possa 'appropriare' delle conoscenze se non rubandole a chi le possiede, a chi percepito ricco di tutti questi contenuti. Per noi questo stato anche un gesto di speranza, perch attirando su di s l'attenzione, Dario aiuta i conduttori a capire che vi il desiderio di imparare, di prender cose ritenute buone dal laboratorio, ma il problema che 'non si sa come fare'. Un altro momento significativo di questo stato iniziale di cose, era la circostanza che questi sentimenti, suscitati e presenti in un gruppo che - lo ricordiamo - lavorava con uno strumento accattivante come il computer, venivano espressi con la chiusura comunicativa e l'autoesclusione. Ad esempio un ragazzo si allontana per mingere ogni volta che viene enunciato il tema dell'incontro e deve iniziare il lavoro. Quando, un'altra volta, disse che preferiva allontanarsi per andare a giocare a 'Rambo' su un altro computer in un'altra stanza, la conduttrice colse l'occasione per verbalizzare a lui e a tutto il gruppo che forse ci che lo spaventava in quel momento era che sentiva il compito come molto difficile da affrontare, che forse bisognava essere proprio dei Rambo per farlo. Che il non sentirsi capaci ci fa star male, ci fa pensare di esser scemi, ci fa pensare che bisogna avere delle doti non comuni per saperlo superare. (Per inciso, il software Rambo, almeno in quel contesto, era il frutto della fantasia del ragazzo. Il personaggio ritorner poi nell'ultimo incontro, ma l assumer un altro significato.) Il gruppo ne discusse e questo permise a D. di sedersi quasi istantaneamente e riprendere il lavoro. Questa verbalizzazione consent poi a tutti di iniziare quel processo di mentalizzazione che avrebbe permesso di superare la difficile empasse iniziale. Un altro punto importante e degno di nota di questa fase, che coincide con l'esplorazione del software e riscontrabile anche nella fiaba narrata dai ragazzi - come si evidenzier in seguito -, era la sensazione dei conduttori di aver sbagliato le proposte, che queste non fossero adeguate alle capacit dei ragazzi. Tutto il gruppo era preda per cos dire di un diffuso senso di inadeguatezza, non si sentiva all'altezza. Ma era proprio questo - fatte le debite verifiche su un piano di realt - a risultare il perno per comprendere i ragazzi. La controprova fu che nell'ultimo incontro, la proposta del programma TIM (The incredible machine), software di notevole complessit logica, tutti, sia pure con livelli diversi di abilit, furono in grado di comprenderlo e di usarlo con sorprendente rapidit e facilit, risolvendo situazioni problematiche assai articolate. Un altro segno tipico del modo di procedere iniziale di fronte al nuovo era l'evitamento della fase della riflessione: non si pensava, n si osservava, ma si agiva, ad es. pigiando in modo del tutto casuale i tasti, nella speranza che magicamente il computer desse la risposta attesa o non importa quale risposta. L'aiuto all'adulto non veniva richiesto oppure veniva chiesto continuamente in modo che si sostituisse nella soluzione del problema. Tuttavia dopo l'episodio di Rambo, alcuni ragazzi hanno incominciato a segnalare di non aver capito e a chiedere aiuto, senza n vergognarsi o adottare una modalit adesiva. Il compito attrae talmente che l'ingresso dell'osservatore nel gruppo non pi colto a pretesto per interrompere il lavoro. I disegni prodotti in questo primo momento sono interessanti: rappresentano in genere una situazione statica, sono poveri, sono quasi una elencazione di oggetti senza collegamenti fra di loro. In seguito, e nel giro di pochissimo tempo, forse anche per una maggior conoscenza del programma, si trasformano in disegni molto ricchi, pieni di movimento, con la presenza di figure umane in interazione fra loro. Queste interazioni esprimono talvolta ancora situazioni di aggressivit o conflittualit: in linea con i sentimenti e i contrasti presenti a tratti nel gruppo, quando di fronte ad una consegna nuova il gruppo tende a riprendere all'inizio antiche modalit difensive. La fase della costruzione della fiaba sotto forma di libro attrae tutti i ragazzi che sembrano unirsi nel compito: quando viene presentato il progetto un bambino di fronte alla raffigurazione di una strega segnala la sua paura. Segno questo della possibilit di esprimere le proprie emozioni sapendo che esse possono esser tollerate e contenute nel gruppo, senza che le proprie parti piccole vengano derise o espulse. Cos diventa possibile utilizzare tutta la gamma dei sentimenti del proprio mondo interno. I personaggi della fiaba assumono cos nomi ironici o ilari oppure vengono identificati negli adulti presenti: una osservatrice ad es. diventa la strega. (E a ben vedere non forse l'espressione di vissuti e di emozioni suscitate dalla loro presenza silenziosa e scrutatrice ?) Durante la costruzione della fiaba, realizzata da ciascuno separatamente ma integrando il proprio pezzo con quello scritto da altri, S. dice "Non ho capito": la prima volta che riesce a dirselo e a dirlo ai conduttori. Questo nuovo clima emotivo si riflette immediatamente nel gruppo, molto pi cooperante e collaborativo, ma anche nel prodotto. Tra gli autori della fiaba i ragazzi vorrebbero anche inserire il nome dei conduttori: indice di riconoscenza e gratitudine. Con il procedere della costruzione della fiaba, dopo un lavoro intenso e senza pause, D. dice: "Basta, perch sono stanco; stato difficile." Con questa affermazione D. sembra alludere non tanto alla fatica fisica, quanto a quella emotiva. E' diventato pi consapevole di quanto gli sta accadendo. Considerammo questa affermazione come indicatore di un nuovo cambiamento in atto nel gruppo: sembrava possibile integrare nel rapporto con i conduttori (e dentro di s) le proprie difficolt e incapacit, senza dover esportare nel rapporto con gli altri membri del gruppo ci che creava disagio, conflittualizzandolo tra molteplici attori. Il compito di produrre un testo con il calcolatore era libero da interferenze emotive troppo pressanti, quindi si poteva procedere senza intoppi sui contenuti d'apprendimento. E' il momento in cui tutto il gruppo, nel suo insieme, diventa pi consapevole e in modo pi realistico dei propri mezzi: M. dice, dopo aver provato a giocare a Glider: "Basta, troppo difficile!" e si unisce al gioco di altri, divertendosi nel vedere come il compagno affronta il gioco. Si sviluppa la possibilit di giocare insieme divertendosi nella partecipazione al lavoro comune. La frustrazione diventa pi tollerabile: durante uno degli ultimi incontri, un infortunio spegne i calcolatori con conseguente perdita di molti dati (ci s'era dimenticati di registrare). Panico iniziale, rifiuto di riprendere il lavoro andato perso. La volta successiva un incidente simile produce un "Pazienza, rifaccio tutto" e non alimenta nessun conflitto con gli altri compagni. Durante tutta l'esperienza, nonostante le vicissitudini narrate, il gruppo stato sorretto da una straodinaria curiosit e voglia di fare: riscontrabile questo nei numerosi interventi di sollecito ad iniziare da parte dei ragazzi che normalmente arrivavano con qualche minuto di anticipo sull'orario. Il clima era di attesa trepida, eccitazione ed entusiasmo. Nell'ultimo incontro i ragazzini propongono significativamente il gioco del 'Braccio di ferro' al conduttore del laboratorio: quasi ad aver bisogno - di fronte alla vacanza imminente e alla separazione - di essere rassicurati sulla propria forza e capacit di tollerare il distacco. Ritorna il discorso su Rambo: "Gente forte, con i muscoli, che uccide a mitragliate o squarcia addomi con i coltelli". Forse il momento della separazione - per esser affrontato - ha ancora bisogno di super-eroi, perch sentito come qualcosa di molto minaccioso. Tuttavia la richiesta di portar via con s qualche software per giocare durante l'estate chiss che non abbia funzionato come elemento protettivo e giocoso per superare le difficolt, come ricordo delle cose buone che ci proteggono dagli aspetti negativi. In conclusione possiamo dire che, nella sia pur limitata esperienza di pochi mesi, il computer non evita le ansie e le angosce di fronte al nuovo, pur essendo un importante fattore di motivazione e di attenzione. Sicuramente la produzione linguistica al computer stata molto ricca e per certi versi sorprendente. 4.1. LA FIABA COSTRUITA DAI BAMBINI COME PROIEZIONE DELLA STORIA DEL GRUPPO 7 Storia articolata e complessa. Essendo un prodotto del gruppo dei bambini, proveremo a rileggerla, molto sinteticamente, come espressione del clima emotivo del gruppo e delle vicissitudini alterne del processo di apprendimento, sia pure stimolato fortemente dalla presenza del calcolatore. E' una lettura arbitraria, perch se ne potrebbe ad esempio apprezzare l'articolazione linguistica, l'intreccio, la costruzione in alcuni tratti molto creativa. 8 L'apertura della storia narra anche l'inizio del gruppo: muore subito la regina. Muore una vecchia appartenenza, quella esterna al gruppo e nasce una nuova identit, non ancora definita, incerta, piena di incognite. Infatti i bambini non si conoscevano tutti tra di loro, significativa la circostanza, come in ogni gruppo 'nuovo', lo stare dei bambini con coloro che erano gi conosciuti. Ma senza donne la storia non pu proseguire. Il gruppo interamente costituito da ragazzi: mancano le bambine. Manca cio una componente importante per poter crescere insieme. 9 Chi si prender cura del bambino, della nuova esperienza che sta nascendo? Il compito nuovo, i nuovi adulti conosciuti alla "Bottega", i nuovi compagni pongono serie preoccupazioni, perfino la fata Giovanna, pur essendo fata, seriamente preoccupata per il destino di questo principe e se lo deve portare a casa sua, al sicuro, per proteggerlo meglio. Seguono una serie di conflitti tra figure idealizzate: la fata e la strega, Torremo e la rana, il principe e la strega, Torremo che prima sembrava buono si trasforma in drago e vuole uccidere il principe, che lo sconfigge e riesce finalmente a vincere la strega, diventando re. Sarebbe fin troppo facile notare la somiglianza con le fiabe classiche, segno dell'interiorizzazione della struttura narrativa, se il contesto in cui nata non suggerisse anche la metafora del processo di apprendimento attraversato dal gruppo: da momenti in cui i bambini si sono sentiti incapaci e arrabbiati per il senso di incapacit provato, in cui la fata conduttrice del laboratorio si trasformava in una strega che metteva in difficolt intenzionalmente i bambini e non era percepita come qualcuno che stava l per aiutare e sorreggere, ma per chiedere prestazioni molto difficili e onerose, alle conflittualit scatenatesi anche con i compagni di viaggio, di volta in volta Torremo e Drago, Granucchio e cavallo. Fino alla possibilit di percepire non come antagonisti i compagni di viaggio, ma occasione per crescere ed imparare. Se all'inizio del gruppo il disagio di fronte al compito veniva espresso nella richiesta di allontanamento dal gruppo, per evacuare concretamente attraverso la minzione ci che mentalmente non poteva essere pensato e tenuto dentro, negli incontri conclusivi un ragazzo esprime e verbalizza, a nome del gruppo, il suo disagio: "Ho tanta confusione nella testa", un altro dice all'adulto "Aiutami", e la sola presenza vicino a lui gli consente di riprendere il cammino in modo completamente autonomo. Il gruppo diventato principe, diventato cio grande, maturo, in grado di verbalizzare la difficolt e il sentirsi incapace, percepito non pi come una vergogna o segno di stupidit, ma come una inevitabile evenienza. Siamo convinti che il non aver estromesso dalla relazione con il gruppo e con i singoli ragazzi questi sentimenti, l'averli accolti e dato loro voce abbia permesso al principe di metter la corona, sia pure dopo molte fatiche. 5. IL GRUPPO DEI GENITORI L'idea del gruppo con i genitori nata dalla considerazione che l'attenzione nel caso delle persone disabili, sia in ambito educativo, che riabilitativo che nella pratica clinica o psicoterapeutica, finora stato focalizzato soprattutto sul bambino ed i genitori sono stati visti un po' come un impedimento, un intralcio o nel migliore dei casi sopportati con tolleranza. Solo in questi ultimi anni, a parte le terapie familiari, stato dato spazio ai genitori come importante risorsa nel favorire il lavoro riabilitativo, educativo e clinico. 10 Senza voler entrare nel merito di considerazioni pi ampie11 si pu dire che gli scopi immediati del gruppo dei genitori erano - individuare strategie per un modello integrato di intervento; - sostenere ed elaborare la sofferenza connessa con l'handicap del figlio, permettendo il passaggio dall'essere genitore di un bambino sordo all'essere "genitore" di un bambino. Vale a dire recuperare lo specifico del bambino non attribuendo le difficolt dell'essere genitore alla disabilit. Si trattava in sostanza di aiutare, se possibile, i genitori a passare da una posizione di sentirsi incapaci e colpevoli (perch ad es. non in grado di usare in modo adeguato la lingua dei segni) tutta centrata sulla disabilit del figlio ad una posizione di riconoscimento della propria funzione genitoriale come importante, indipendentemente dai limiti comunicativi. Passare cio dalla disperazione dei momenti di incomunicabilit, di non comprensione con il figlio - attribuita tout-court alla sordit - al riconoscimento che vi sono momenti dolorosi di incomprensione con i figli, indipendenti dalla mancanza di un canale sensoriale. In altre parole evitare il rischio che l'handicap comunicativo diventi il luogo di tutte le proiezioni ed attribuzioni negative delle difficolt del crescere. Il compito definito del gruppo dei genitori era quello di lavorare insieme intorno a ci che accadeva nei laboratori, attraverso la parola dei bambini e i discorsi che venivano elaborando in famiglia. Non era obiettivo del gruppo n la terapia dei genitori n il fornire interpretazioni. Si trattava quindi di un gruppo eterocentrato con un compito esterno a s (la riflessione su un'esperienza del figlio) e condotto con una modalit decentrata. Diciamo cos che il lavoro era rivolto ai genitori in quanto tali, limitatamente all'esperienza che i figli venivano facendo nel laboratorio. Altro importante elemento l'idea di fornire un tempo e uno spazio per s ai genitori, senza l'impegno dei figli. Come vedremo, sia pure nei limiti di pochissimi incontri, (tre di due ore ciascuno), il gruppo dei genitori ha maturato la richiesta di estendere il tema degli incontri alla funzione genitoriale nel suo insieme e non solo circoscrivendola all'esperienza della "Bottega". Infatti emersa la necessit da parte loro di parlare di s, delle loro ansie, delle loro aspettative e di potersi confrontare. A questo proposito una mamma dir: "Devo ringraziare tutti, perch prima ero sola, adesso, invece, posso stare con gente che ha il mio stesso problema e quindi posso parlarne tranquillamente" . Nonostante questo dall'analisi delle osservazioni emersa, come si vedr, un'iniziale difficolt da parte dei genitori di verbalizzare apertamente i loro stati d'animo, forse per il timore di essere giudicati e controllati. Infine era nelle nostre intenzioni costruire con i genitori modi di approccio al computer che non fossero n alienanti n magici, ma tenessero conto delle esigenze del bambino. 5.1. DALLA 'CAMERA DI TORTURA PSICOLOGICA' ALLO SPAZIO DEL GRUPPO COME SPAZIO UTILIZZABILE. Descriveremo qui sinteticamente le vicissitudini emotive del gruppo dei genitori, per come siamo stati in grado di coglierle ed enunciando le tematiche attraversate. Come si noter in seguito, il clima affettivo presente nel gruppo dei genitori stato omomorfo a quello dei bambini e all'andamento emotivo della fiaba prodotta. Non sappiamo se sia un caso, certo questo rispecchiamento fa pensare. Una circostanza questa che induce a ritenere, se mai ve ne fosse stato bisogno, l'interdipendenza tra le esperienze di crescita dei bambini e il vissuto dei genitori rispetto alla crescita del figlio. Infatti all'interno di una buona relazione i bambini riportano in seno al gruppo familiare e alla coppia genitoriale il mondo esterno e le emozioni da questo suscitate, affinch vi sia un luogo ove possano essere rielaborate, sostenute e comprese con l'affetto dei genitori. Il primo incontro verte per cos dire intorno al tema dell'esclusione: gli udenti escludono i sordi e viceversa i sordi, nel timore di non essere capiti si rinchiudono in se stessi, per difendersi dal dolore dell'incomprensione. Un genitore riporta l'esperienza di un adulto non udente che da piccolo si chiudeva in bagno a piangere perch si sentiva escluso dai discorsi tra familiari dicendo "Non posso sopportare questo, mi fa male al cuore". L'altra preoccupazione espressa che gli operatori che si occupano dei bambini sordi siano "incompetenti", che non sappiano adeguarsi alle esigenze e ai bisogni dei bambini sordi. In altre parole che da un lato non abbiano gli strumenti culturali e tecnici per affrontare la situazione, dall'altro non sappiano accostarsi alla sofferenza dell'esclusione dovuta alla menomazione sensoriale. Si potrebbe anche dire che la preoccupazione richiama il problema dell'incapacit non solo degli operatori (sempre possibile), ma del sentirsi e nel non essere stati - n in passato n forse ora, in quel momento - sorretti come genitori nel far fronte alla rottura delle capacit genitoriali, al break down costituito, in passato, dal dolore per la nascita di un bambino sordo che ha bisogni particolari, specifici, inattesi, ora, dai nuovi problemi di crescita che si devono affrontare giorno per giorno. Il secondo incontro ha per oggetto l'incomunicabilit e la confusione generata dal non capirsi. Il conduttore per tutto l'incontro avverte controtransferalmente l'impossibilit di aiutare il gruppo ad uscire dalla confusione generata dalla incomprensione. Le parole dette dai genitori, pur essendo molto chiare in se stesse e su tematiche molto differenti rispetto al compito concordato, non vengono raccolte e ripensate. Il conduttore ha la sensazione precisa, al termine dell'incontro, di essere stato incapace, inadeguato, confuso, non pertinente, "sordo" emotivamente rispetto al dolore che portavano i genitori. Uno di questi aveva espresso il vissuto dell'incontro, con la domanda: "E' questa la camera di tortura psicologica ?", riferendosi al locale. Dunque, il non passaggio di comunicazione genera mostri persecutori, angosce di minaccia alla propria identit personale, al S: un problema sollevato infatti l'identificazione e confusione del sordo con l'ignorante, lo scemo, equivalenza quasi automatica, secondo i genitori, nella percezione dell'udente. La paura dei bambini nell'esperienza dei genitori di non essere capiti dagli udenti, che gli adulti preposti all'esperienza di crescita non entrino in 'sintonia' con i bambini, viene espressa anche l'idea che forse i bambini sordi possano 'insegnare a noi un metodo per capirli meglio'. Ci che viene raccontato in realt connesso con la sofferenza ed il dolore psichico legato ai momenti in cui non ci si riesce a capire, anche tra genitori e figli, perch la comunicazione non riesce, fallisce. A ben vedere, sia pure amplificato dalla sordit, non questo una tipica difficolt della relazione filiale? L'unico modo forse che i genitori avevano per far percepire il problema nel suo spessore era quello di far sperimentare concretamente questo disagio, questo star male a chi conduceva il gruppo. Questo dolore non aveva ancora avuto, almeno all'interno del gruppo sino a quel momento, le parole per essere espresso e raccontato. Questa verbalizzazione venne fatta nel terzo ed ultimo incontro da parte del conduttore. I genitori finalmente, a quel punto, si sono sentiti compresi nel loro dolore e nel riattivarsi quasi quotidiano di questo, hanno in parte acquistato fiducia nella possibilit di elaborazione e di contenimento, senza il timore di essere giudicati, di essere distrutti o di ritrovarsi senza speranza. Durante questo incontro, che precedeva le vacanze, ci si accosta alla possibilit di convivere con il dolore per gli impedimenti ed i limiti che la sordit comporta, senza che il genitore udente debba rinunciare ai propri interessi o bisogni personali. Una mamma dice "Io suono la chitarra: uno spazio mio, non lo voglio abbandonare". Si pu convivere con questi limiti e con le difficolt dovute alla menomazione, chiarendo le confusioni che fanno anche i sordi: udente equivale a persona che sa e che capisce tutto. Fantasia invidiosa che pu impedire il processo di apprendimento o ostacolarlo. I genitori si sono resi conto di poter elaborare ed esprimere liberamente e in modo critico i propri pensieri, le proprie opinioni senza il timore di essere indagati. Questa consapevolezza si esplicitata nell'intervento di un pap: "So che qui si parla del Laboratorio, ma anche importante lo spazio riservato a noi genitori". Rilevante l'affermazione di una mamma: "Non basta saper dialogare con i segni12, bisogna entrare in sintonia con loro ed essere consapevoli delle difficolt per poterli aiutare". L'elaborazione delle difficolt legate all'accettazione dell'handicap un processo lungo e faticoso. Una mamma racconta "Alla TV parlavano dell'anatomia dell'orecchio, io mi sono spiegata male e ho detto al bambino che quel suo organo era rotto. Lui mi ha risposto che non ha niente di rotto, che io avevo l'orecchio rotto." E un'altra spiega "D. non vuole mettersi la protesi, ..oppure si stacca la protesi, se la toglie di nascosto, la nasconde, si vergogna". Sicuramente difficile per i genitori far intendere ai propri bambini il significato di questa menomazione, il fatto di non poter essere partecipi di tutto del mondo fatto di parole, di suoni, di rumori, di tutti quei rapporti comunicativi basati sul linguaggio verbale e uditivo. Un pap osserva "Mi si stringe il cuore quando Alessandro mi chiede dei giochi che hanno dei suoni e che quindi lui non pu usare, angosciante dovergli spiegare che lui non pu utilizzarli perch sordo, terribile dovergli ricordare il suo stato." C' stata quindi una crescita del gruppo che ha preso coscienza di poter vivere questi momenti come uno spazio realmente utile. I genitori hanno voluto assicurarsi che questa esperienza proseguisse e malgrado il conduttore l'abbia confermato, una mamma ha aggiunto: "Me lo metta per iscritto". Inoltre hanno espresso il desiderio di poter allargare sia il gruppo dei bambini che quello dei genitori per dare la possibilit ad altre famiglie di condividere questa esperienza, "...per potere aiutare altri genitori che magari sono soli e che qui possono trovare giovamento". La valutazione del lavoro in gruppo stata molto positiva, soprattutto per la possibilit di confrontarsi e di condividere problemi analoghi: ad esempio scoprire che la domanda del figlio "Perch sono sordo" una domanda molto comune e che ognuno pu articolare la sua risposta, senza doversi uniformare ad un presunto modello ideale, ma astratto di genitore. L'esigenza da parte dei genitori di parlare di se stessi e dei loro figli ha lasciato meno spazio al commento dell'esperienza della "Bottega". E' comunque emersa dalle parole dei genitori un'opinione positiva sul lavoro del laboratorio che ha rappresentato ed diventato "uno spazio collettivo proprio dei bambini", che sono riusciti a creare, senza l'appoggio essenziale dei genitori, un prodotto: una loro fiaba." Significative le parole di un pap: "I giochi svolti nel laboratorio non hanno senso se fatti a casa da soli". Se si osserva nell'insieme il percorso che abbiamo condiviso con i genitori, si pu constatare che il gruppo passato attraverso il prevalere di angosce persecutorie iniziali (di fronte al compito nuovo), momenti di confusione e di non comunicazione sino ad avvicinarsi ad angosce depressive, intrecciate alla dolorosa accettazione della realt limitante della menomazione sensoriale. Il percorso non cos schematico, in quanto vi stata la compresenza di pi coloriture emotive nello stesso incontro, ma alcune erano pi accentuate. Ritorna alla mente l'idea di Meltzer che descrive il processo di crescita 'normale' cos: "..non pu esservi sviluppo senza sofferenza.."13. Lo scopo di un 'adulto maturo' quello di "..aiutare l'individuo a modulare la sofferenza psichica insita nella crescita"14 e non ad evitarla esportandola negli altri e non riconoscendola pi come propria. Noi crediamo che se questo vero nel caso di un bambino normale a maggior ragione quando sia presente un bambino disabile in una famiglia, sia nostro compito creare le condizioni perch si realizzino dei "pensatoi comuni", ove riprendere speranza, essere aiutati a uscire dalla confusione e contenere il dolore, per renderlo affrontabile. 6. APPRENDERE INSIEME DALL'ESPERIENZA Se confrontiamo l'andamento emotivo del gruppo dei genitori con quello dei bambini impegnati nella costruzione di una fiaba notiamo significative coincidenze; questo perch l'apprendere attraverso il computer non ha impedito di imbattersi in tutte le difficolt emotive connesse: la paura dell'esplorazione dell'ignoto, il timore di lasciare sponde sicure per avventurarsi in luoghi sconosciuti (sia pure virtuali), il desiderio di evitare la fatica, il timore di cambiare, di non capire, di sentirsi confusi ed incapaci, il tentativo di imparare per adesione, 'raccattando' le conoscenze dagli altri, il desiderio di 'rubare' le conoscenze a chi ritenuto pieno di tesori e di capacit. Si dir, ma cosa c'entra tutto questo con il computer? Certamente la nostra metodologia non strettamente collegata (almeno per quel che riguarda il gruppo dei genitori) al computer. Certamente si poteva lavorare cos anche se il laboratorio avesse previsto l'uso di carta e matita. Riteniamo tuttavia che il riflettere con i genitori su questi temi abbia aiutato tutti noi a vedere meglio questo strumento nell'insieme del processo di crescita e di apprendimento dei bambini, a coglierne le potenzialit ma anche i limiti, non dominati dal suo fascino, a pensare al mezzo "calcolatore" come necessitante di un ambiente relazionale pi vasto e contenente, l'unico in grado di accogliere e comprendere sentimenti ed emozioni, a dar loro un senso, vero elaboratore mentale delle esperienze cognitive costruite e costruibili con queste modalit e risultati, questi s, forse, soltanto per il tramite di un computer. In conclusione, un grazie sincero a questo gruppo di bambini e genitori che hanno consentito cos generosamente anche a noi di crescere ed imparare. BIBLIOGRAFIA. AA.VV, L'osservazione, Quaderni di psicoterapia infantile, Borla, Roma, 1984 Bion W., Apprendere dall'esperienza, ed. Armando Armando, Roma,1972 Bleger J., Psicoigiene e psicologia istituzionale, Libreria editrice Lauretana, Loreto, 1989 Bouvet D., La parola del bambino sordo, ed. Masson, Milano, 1986 Bruner J., La ricerca del significato, Boringhieri, Torino, 1992 Pichon-Rivire E., Il processo gruppale, Libreria editrice Lauretana, Loreto, 1985 Speziale Bagliacca R. (a cura di), Formazione e percezione psicoanalitica, Feltrinelli, Milano, 1980 1 - Laureanda in Psicologia 2- Laureanda in Psicologia 3 - Psicologo clinico, Coordinatore Centro documentazione 'Software e disabilit', AREA, Torino 4 - L' Infant Observation una metodologia di lavoro messa a punto dalla scuola kleiniana di psicoterapia infantile della Tavistock Clinic di Londra, come strumento di indagine e comprensione della vita emotiva nei primissimi stadi di vita del bambino. Lo strumento si poi rivelato efficace nell'osservazione longitudinale di bambini in et di latenza o preadolescenti. Di qui la Children observation di cui si parla nel presente articolo. 5 - cfr. E. Bick, L'esperienza della pelle nelle prime relazioni oggettuali, in Bonaminio V., Iaccarino B., (a cura di) L'osservazione diretta del bambino, Boringhieri, Torino, 1985 6 - Bion W., Apprendere dall'esperienza, Armando, Roma, 1972 7 - La storia costruita dai bambini la seguente: Una volta c'era un re, si chiamava Ferdinando. Alla regina nasce un bambino principe, dopo un'ora la regina morta. Allora il re da solo perch non ci sono donne e dice "Come si fa con il figlio?". Allora il re chiama la fata Giovanna e dice "Tu devi curare il mio figlio perch io devo andare alla guerra". Dopo due giorni il re morto. La fata Giovanna era molto preoccupata. Allora prende il principe e lo porta a casa sua (di fata Giovanna). La fata prepara la pappa per il principe. Dopo tanti anni il principe cresce. Un giorno il principe va nel bosco e vede un daino. Prende l'arco e la freccia, spara. Il daino morto. Il principe vede un castello e vicino c' la guerra. La strega Sragato abita nel castello. La strega molto cattiva. Il principe va nel castello a vedere la strega, il principe prende la spada e picchia la strega. La fata va nel castello. La fata picchia la strega ed il principe mangia le cavallette perch aveva fame. La fata vuole ammazzare la strega, ma la strega fa una maga. La strega vola in cielo. Il principe parla alla fata e dice "La strega andata via". La fata ed il principe vanno in cielo e la strega vede la fata e il principe. Arrivano gli animali che vanno a combattere la strega. Arrivano Torremo e la rana Granucchio. Torremo cattivo. La rana brava. Torremo corre veloce, la rana salta veloce. Robin Hood caccia il toro. Il toro va nell'erba. La rana va nel lago. Sragato cattiva. Poi la rana salta sulla foglia e va al castello. La rana e il toro hanno denti forti. Il toro mangia la rana. La fata Giovanna chiama Robin Hood. Robin Hood mette un cappello magico e cresce. Il principe diventa alto e lungo. Il principe mette l'armatura: Il principe con l'armatura va sul cavallo. La fata apre la porta per fare entrare il principe. Il toro diventa un drago che sputa fuoco. Il principe chiama il drago. Il principe con l'armatura va sul prato. Il drago sputa lontano il fuoco sullo scudo del principe con l'armatura. Il principe scappa nel lago. Il drago inciampa in un sasso e cade nel lago. Il principe contento. La strega cattiva e il principe taglia la strega con il coltello. Il principe mette la corona e diventa re. 8 - Dall'analisi delle varie osservazioni e dei prodotti dei bambini, quali la fiaba, sono emersi alcuni elementi significativi dal punto di vista linguistico e cognitivo. Appare evidente che la loro intelligenza concreta e descrittiva: i bambini sordi non riescono facilmente ad astrarre, sanno spiegare solo ci che vedono. Si assistito nel gruppo ad un lento, ma progressivo cambiamento da una fase iniziale in cui prevaleva la staticit (la farfalla in cielo, l'albero sul prato, il bambino guarda il lago) a quella finale della costruzione della fiaba, in cui azione e movimento sono i cardini della storia. Le difficolt incontrate nel costruire il testo sono da ascriversi principalmente all'ambito morfo-sintattico e all'ambito testuale e possono essere cos riassunte: {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 5 \h} difficolt di comprensione e di uso funzionale della forma interrogativa; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 5 \h} uso erroneo delle concordanze e delle forme verbali (tempi dei verbi, concordanza soggetto/verbo ecc.); {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 5 \h } difficolt nell'uso dei possessivi e delle preposizioni; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 5 \h} preferenza del discorso indiretto rispetto a quella diretto; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 5 \h} difficolt a distinguere l'articolo determinativo e indeterminativo; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 5 \h} difficolt a comprendere il significato delle maiuscole. {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 5 \h} scarso uso della punteggiatura; Interessante notare infine che i ragazzi tendono ad esprimere graficamente l'intensit delle loro emozioni: es. "Il drago MOLLTOOOOO CATTIVO". Il veicolo privilegiato per l'espressione dei sentimenti dunque quello grafico-visivo, effetto conseguito in questo caso attraverso la modificazione dell'ortografia delle parole. Segno anche di creativit e padronanza di strutture linguistiche. 9 - sar una delle richieste che i ragazzi formuleranno al termine dell'esperienza: che il proseguimento del lavoro di gruppo avvenga con la presenza almeno di una bambina. Si tratta di ragazzi preadolescenti. 10 - e pensare che S. Freud sin dal 1905, nel caso del piccolo Hans, aveva utilizzato il padre come importante fonte non solo di informazioni, ma anche strumento per la terapia. 11 - Cfr. P. Forgiuele, M. Bianco, R. Gemello. Alcune considerazioni sul lavoro con i genitori: alla ricerca di un modello operativo in Il disagio emozionale, Atti del convegno Prevenire, comprendere, cercare, Torino 22 -23 maggio 1992 F. Berto, P. Scalari, Lo spazio genitori: un servizio dei centri di et evolutiva, in Animazione Sociale, Aprile 1993. 12 - si riferisce alla lingua dei segni 13Cfr Meltzer, D., Harris,M., Il ruolo educativo della famiglia, ed. Centro scientifico torinese, Torino, 1986, p. 54 14 ibidem, p. 73 {PAGINA}