[Da ZNorth] AREA: UNO SPAZIO PER PENSARE ALLA FORMAZIONE DEL VOLONTARIATO Mauro Martinasso, Giovanna Serniotti, Elio Tesio Introduzione 2 Il percorso del volontario nell'area: dall'informazione alla formazione 3 L'informazione 4 La formazione: il gruppo dei volontari 4 Il volontariato di quotidianitˆ e di laboratorio. 7 Il volontariato di quotidianitˆ 7 Il volontariato nei laboratori. 12 I laboratori 12 I volontari 12 Conclusioni 14 INTRODUZIONE Questo scritto la sintesi di un'esperienza che dura ormai da otto anni nell'ambito della formazione e dell'organizzazione del volontariato. L'AREA, Associazione Regionale Amici degli Handicappati, opera a favore dei disabili (adulti e bambini) senza occuparsi di fasce specifiche di handicap, in quanto si proposta di centrare l'intervento sulla relazione che pu˜ essere instaurata con la persona disabile, tenuto ovviamente conto della sua menomazione. L'approccio dell'AREA alla disabilitˆ passa attraverso una ridefinizione del termine handicappato. Questo termine ha perso, nel parlare comune, le sue caratteristiche di aggettivo per assumere quelle di sostantivo, caratterizzandosi come concetto esteso che comprende tutte le persone che lamentano una qualche forma di disagio. Questo fa sì che la persona disabile venga identificata con la sua difficoltˆ, difficoltˆ che perde la connotazione di limite specifico, per trasformarsi in rigida ed invalicabile barriera fra il normale ed il diverso. Tutto ci˜ accresce quel senso di isolamento che giˆ il disabile vive dentro di sŽ e che vede confermato nella vita di relazione e spesso anche nel contesto familiare. Il termine handicappato diventa una sorta di etichetta, di marchio che da un lato emargina, e dall'altro crea intorno alla persona disabile un mondo privo di aspettative, legittimandola in una dimensione passiva, per nulla stimolata ad attivare le risorse residue. Si crea così un circolo vizioso per cui la societˆ avverte il bisogno di assistere l'handicappato e questi aderisce all'immagine ed alle aspettative che il contesto esprime verso di lui, passivizzandosi. Non condividendo questa visione della disabilitˆ, l'AREA ha costruito il proprio progetto centrandolo sulla persona evitando di focalizzare l'attenzione su 'ci˜ che manca' al disabile (vista, udito, motricitˆ, intelligenza, capacitˆ cognitive ecc...). La persona disabile non viene vista per la deprivazione da cui colpita, ma incontrata attraverso la scoperta delle risorse che possiede e non esplicita. Il cardine intorno cui ruota l'intero operato dell'AREA l'individuo nella sua completezza: la persona, non le sue parti. Occupandosi del disabile nella sua totalitˆ di individuo, si osserva che egli limitato non solo da barriere architettoniche, ma anche e soprattutto da barriere psicologiche. Nella costruzione di tali barriere concorrono sia i pregiudizi della societˆ, che gli ostacoli emotivi interni del disabile, che ha di se stesso un'immagine - spesso combaciante con quella esterna - , di persona incapace, passiva e da soccorrere. L'incontro tra questi due stereotipi, interno ed esterno, crea l'isolamento in cui spesso il disabile imprigionato. L'obiettivo che l'Area ha posto a fondamento del proprio progetto di lavoro quello di favorire l'uscita dalla chiusura e dall'isolamento, l'apertura di brecce nelle barriere psicologiche, nella convinzione che questi spiragli garantiranno la possibilitˆ di una vita migliore. Per realizzare questi obiettivi l'AREA si avvale della collaborazione di gruppi di volontari che offrono al disabile la possibilitˆ di riuscire ad incontrare qualcuno che, stando con lui, possa accostarsi a che cosa significano la sua condizione e la sua esperienza di vita. Questo ha il senso di costruire un'esperienza di condivisione in cui il volontario, il "compagno di strada", aiuta a tollerare, con la propria presenza, gli accadimenti e le vicissitudini della quotidianitˆ. Le esperienze che vengono qui descritte rispondono ad un progetto teorico che guida passo passo la metodologia di lavoro e che stato, grazie a questa, continuamente rivisto e adeguato. Il quadro di riferimento teorico apparso necessario per costruire una 'cornice' capace di contenere un fenomeno variegato quale quello del volontariato, che quanto mai spontaneo, non assoggettato a regole istituzionali, determinato dalla scelta individuale, spesso non sufficientemente elaborata. Il referente teorico seguito quello psicologico che vede nella relazione e nell'esperienza emotiva uno strumento idoneo per orientarsi all'interno del rapporto volontario-disabile, rapporto che, come spesso accade nell'interazione tra persone, tende ad essere eroso dai bisogni e dalle domande che uno rivolge all'altro. Così come l'Area ha ritenuto necessario ridefinire la disabilitˆ allo stesso modo ha ripensato alla funzione del volontario. Il volontariato , nella prospettiva dell'Associa- zione, una dimensione di per sŽ non codificabile, poichŽ non inscrivibile, come qualsiasi impiego, all'interno di parametri spazio-temporali. E' infatti senza tempo (si pu˜ essere volontari episodicamente, ma anche per tutta la vita) e senza spazio (esiste forse un qualche luogo, caratterizzato dal bisogno e dal disagio, in cui non sia possibile e auspicabile esplicitare una partecipazione volontaria e di aiuto?) Per realizzare questi obiettivi era ed essenziale strutturare un percorso di formazione del volontario che permetta: a) di circoscrivere e definire l'esperienza del volontariato; b) di perseguire l'obiettivo di liberare le potenzialitˆ creative del disabile attraverso l'uscita dall'isolamento; c) di utilizzare la relazione volontario/disabile come recupero di potenzialitˆ e dunque strumento di cambiamento. IL PERCORSO DEL VOLONTARIO NELL'AREA: DALL'INFORMAZIONE ALLA FORMAZIONE L'AREA ha definito il proprio operato in termini di cornice-contenitore che ha il compito di circoscrivere le esperienze del volontariato. Parlare dell'AREA come di un contenitore delle esperienze di volontariato significa vedere nell'Associazione un luogo in cui possibile raccontare ed elaborare le esperienze compiute, accogliendo e dotando di senso sentimenti, angosce, sconforti, successi e domande. L'AREA guida l'esperienza dei volontari utilizzando delle regole che hanno la funzione di una sorta di comune denominatore, di una invariante, a partire da cui verranno portate avanti le esperienze individuali. Queste "regole" sono date dalla temporalitˆ (ogni volontariato dura due anni), dalla non assunzione di un ruolo definito a priori e dalla delimitazione dei 'luoghi' in cui tale esperienza viene effettuata. La temporalitˆ prevede che il volontariato - circoscritto a due anni - non sia permanente. Lo scopo di questo limite di garantire la non trasformazione del volontariato in impiego. La regola del tempo che delimita l'esperienza del volontario e la qualifica come tale, pone un confine fra l'essere volontario e fare il volontario. Nel primo caso infatti l'idefinitezza della temporalitˆ costituisce una identitˆ, il volontario a vita, mentre nel fare il volontario la limitatezza del tempo apre alla progettualitˆ. [PS1] Nell'AREA, per tutto il corso dell'esperienza, l'attivitˆ del volontario rimane non definita in modo rigido, nel senso di non identificata in una attivitˆ specifica, pena lo scivolamento in 'professionalitˆ', che irrigidirebbe il rapporto e le potenzialitˆ espressive. Il volontario articola creativamente il proprio operato nel rispetto della personaliltˆ del disabile, costruendo una nuova relazione con questi. Il luoghi di intervento, previsti dal progetto di formazione del volontariato, sono due: il luogo del fare ed il luogo della riflessione. I luoghi del fare sono quelli in cui il volontario svolge la propria esperienza di relazione con il disabile: gli spazi previsti in questo senso sono quelli dei laboratori interni all'AREA e spazi di vita quotidiana all'esterno dell'AREA stessa. Il luogo della riflessione, interno all'AREA, lo spazio del gruppo di discussione, di seguito descritto. A partire dalle finalitˆ e dalle regole qui illustrate, l'AREA ha elaborato un progetto di informazione/formazione, distinguendo chiaramente i due aspetti. L'INFORMAZIONE L'informazione intesa come preparazione all'esperienza ed strutturata secondo un percorso preciso: {ARG " Il primo contatto, la richiesta, le condizioni poste . "}1. la pubblicizzazione della ricerca di volontari, primo messaggio che l'AREA invia su se stessa, avviene tramite quotidiani locali. Attraverso una telefonata viene fissato un colloquio informativo, al termine del quale consegnato un foglio di presentazione delle condizioni di accoglimento della richiesta di volontariato; 2. segue a questo primo contatto, un corso preparatorio, consistente in 6/7 incontri settimanali di due ore ciascuno, in cui vengono illustrate le attivitˆ dell'AREA e vengono sviluppati, da esperti di singole discipline, alcuni temi relativi al volontariato, cui segue un dibattito ed un lavoro a piccoli gruppi; LA FORMAZIONE: il gruppo dei volontari Più articolato e complesso invece il momento della formazione vista come un 'dare forma' all'esperienza che viene compiuta nei due anni di volontariato. Il progetto elaborato dall'AREA parte dall'ipotesi che un'esperienza di volontariato abbia intrinseche valenze di formazione, e che questa formazione vada nella direzione di un riconoscere, attraverso la riflessione sull'esperienza, le intenzioni, le emozioni, i pensieri che strutturano la relazione volontario/disabile. Il volontario in questo rapporto pu˜ permettere al disabile il passaggio dalla temporalitˆ chiusa e ripetitiva del destino (l'handicap, la menomazione) ad una temporalitˆ aperta e progettuale (nella relazione con gli altri e con se stesso) fondata sugli aspetti funzionanti e a partire dai limiti costituiti dalla disabilitˆ. Proprio per la delicatezza di questo compito, la formazione, fondata sull'apprendere dall'esperienza, va distinta dalla in-formazione, dall'addestramento, dall'istruire. Lo strumento di formazione stato individuato nella composizione in gruppo dei volontari, gruppo centrato sulla discussione di protocolli di osservazione di quanto accade nella relazione con il disabile. Al termine del corso preparatorio, che, oltre ad uno scopo informativo, ha un obiettivo di valutazione delle motivazioni iniziali all'attivitˆ di volontario, segue un colloquio con il conduttore del gruppo di formazione che ha la responsabilitˆ di selezionare i volontari e di aiutarli nella loro scelta. Tale colloquio indaga sulle motivazioni del richiedente, restituendole e valutandole insieme come coincidenti o non coincidenti con gli scopi e finalitˆ dell'AREA rispetto all'attivitˆ di volontariato. Questo un momento di riflessione "ad alta voce", del tutto personale, in cui l'esito dell'incontro non rappresenta un giudizio di valore sulla persona, ma sulla adeguatezza rispetto al compito da affrontare e all'esperienza che viene offerta dall'AREA. Il gruppo di formazione un gruppo di lavoro, un gruppo operativo, centrato sul compito dell'analisi della relazione volontario/disabile, analisi grazie alla quale si costruisce un apprendimento su di s e sull'altro. Il gruppo di lavoro per la formazione dei volontari concepito come un gruppo che ha da svolgere un compito specifico (sia esso all'interno dei laboratori o negli spazi di vita quotidiana della persona disabile) e raggiunge la cooperazione mediante la riflessione e il dialogo sulla esperienza stessa. Esso governato da alcune idee di fondo che lo caratterizzano: {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h} l'idea dello 'sviluppo', al posto di quelle dell'essere dotati per istinto, cio l'idea che le persone come il gruppo possano crescere (psichicamente) e che si dovrˆ faticare per conquistare le proprie mete. Nell'incontro con il disabile non basta la buona volontˆ occorre anche imparare ad osservare l'interazione reciproca per migliorarla; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h} una dimensione temporale, cio di processo e di percorso, nel senso che questo apprendimento richiede tempo, non 'spontaneo' ed implica un continuo ripensare all'autenticitˆ del rapporto volontario/disabile; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h} come corollario indispensabile dell'idea dello 'sviluppo', il gruppo progressivamente fa propria la validitˆ dell'apprendimento dall'esperienza: si impara facendo e pensando in modo che l'emotivitˆ di un rapporto, volontario/disabile, così intenso, diventi fonte di conoscenza e di crescita; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h} il progressivo organizzarsi e strutturarsi del gruppo di lavoro sono strumenti dell'intervento del volontario e sono il prodotto della cooperazione tra i membri del gruppo stesso. Di qui l'articolarsi meglio dell'idea della solidarietˆ e della collaborazione come strumento prezioso nella relazione d'aiuto ai disabili. Il 'compito' che l'AREA stabilisce per il gruppo di lavoro rappresenta il fondamento del gruppo stesso ed il legame che lo cementa e lo ˆncora con la realtˆ. Questo soprattutto per un gruppo di volontari, un aspetto importante, per evitare l'idea di risolvere tutto esclusivamente con l'impegno, riscontrabile talvolta nella scelta stessa del volontario di fare il volontario, e per ridurre il rischio del fallimento. Per questa ragione il gruppo del volontariato 'di quotidianitˆ' e 'di laboratorio' si ritrova a cadenze predefinite (quindicinalmente nel primo caso, mensilmente nel secondo) per la durata di due ore, così come la presenza con la persona disabile predeterminata e concordata in modo stabile e prevedibile. L'organizzazione del gruppo prevede la presentazione a turno da parte di ogni volontario di uno scritto, distribuito a tutti i membri del gruppo, con la descrizione di uno o più incontri avvenuti fra il volontario stesso ed il disabile che gli stato affidato. Le parole scambiate all'inizio del gruppo non sono mai racconto di stati d'animo, sono un 'parlare di..': solitamente del disabile visto come diverso e lontano, della famiglia di questi spesso colpevolizzata, delle istituzioni cui quasi sempre viene attribuita la responsabilitˆ di trattamenti inadeguati e dunque della non risoluzione dell'handicap. L'esperienza della continuitˆ degli incontri in gruppo fa sì che ogni comunicazione venga collegata alle precedenti e la parola diviene un 'parlare tra' persone che portano avanti un progetto comune, che viene interrogato e modificato producendo nuove esperienze. L'essere presenti in gruppo comporta la discussione del proprio comportamento, ed il racconto, introducendo il pensiero, allontana dall'immediatezza del fare ed avvicina al significato della relazione. In questo modo, dopo la fase iniziale, lo scopo principale dei membri del gruppo non più l'immediato sollievo dalla sofferenza del disabile, ma il desiderio di una migliore comunicazione con questi, il che si trasforma nella ricerca del significato degli atteggiamenti adottati. Questo processo ha ovviamente delle oscillazioni a seconda delle difficoltˆ incontrate. Nei momenti più complessi il gruppo si riorienta ad essere contenitore delle angosce, funzionando secondo modalitˆ più primitive e riappiattendosi talvolta sulla considerazione del disabile come handicappato da soccorrere. Ogni volontario ha grazie al gruppo l'opportunitˆ di paragonare e contrapporre il proprio modo di agire a quello degli altri constatando che ci˜ che riteneva personale comune e ci˜ che riteneva diffuso invece suo. Questo permetterˆ di sperimentare nuove e creative soluzioni relazionali. Il conduttore del gruppo ha il compito di favorire la nascita e la crescita della capacitˆ di pensare insieme per poter pensare meglio e consentire l'attuarsi della riflessione sulle esperienze compiute. Come si vede l'AREA guida il volontario ad instaurare con il disabile una relazione che, invece di operare il tentativo onnipotente e quindi fallimentare di dare ci˜ che manca, offra l'aiuto di condividere un tempo definito a priori, per costruire insieme nuove esperienze di affetto e di pensiero tramite due tipi di volontariato. IL VOLONTARIATO DI QUOTIDIANITÀ E DI LABORATORIO. L'obiettivo di questi due interventi di cambiamento e di crescita e prevede progettualmente: {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h} l'uscita dall'isolamento e dalle quattro mura domestiche, spesso autentica prigione; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h} l'articolazione di uno spazio tra i membri della famiglia, in un contesto reso molto difficile dalla presenza del disabile. L' "assistenza" al bambino, al ragazzo o all'adulto disabili sollevano i familiari da un impegno stressante sia sul piano fisico, sia emotivo (quella che i volontari definiscono 'l'ora d'aria', segnalando così con questa definizione le barriere invisibili create da una condizione permanente di inabilitˆ e dipendenza, prigione che coinvolge anche i familiari); {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h} l'aumento di spazi 'privati' e personali del disabile, annullati sovente - per le condizioni della menomazione - dalla regressione ad una dipendenza totale dai familiari per compiere gli atti quotidiani della vita. L'ascolto da parte del volontario, infatti, delle storie di quotidianitˆ raccontate dal disabile, rappresenta di per sŽ spesso il primo 'spazio privato' dopo tanti anni; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h} la rimessa in contatto con circuiti sociali tali che consentano maggiore autonomia alla singola persona disabile ed il soddisfacimento del desiderio di relazionarsi agli altri; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h} la creazione di spazi di gioco in cui sia possibile fare insieme utilizzando strumenti, materiali e tecniche espressive. IL VOLONTARIATO DI QUOTIDIANITÀ Questo tipo di volontariato, domiciliare, offerto a coloro che ne fanno richiesta sia individualmente sia su proposta di organizzazioni, servizi sociali territoriali, Žquipe, famiglie. Questa forma di intervento domiciliare non prevede in alcun modo prestazioni di tipo materiale (quali potrebbe svolgere ad es. una colf), ma compiti di compagnia, attivitˆ di 'tempo libero', con l'impegno a trascorrere bene del tempo insieme. In concreto, in questa forma di volontariato, il volontario raggiunge una volta la settimana per tre ore circa il disabile che gli stato affidato, inventando con lui il tempo da trascorrere insieme. Le attivitˆ che verranno svolte sono il tramite della relazione. I punti di riferimento per il volontario sono: il conduttore del gruppo di formazione, per la discussione delle 'osservazioni' ogni 15 giorni, l'assistente sociale, che svolge un ruolo prezioso, non solo nel momento della individuazione dei casi da seguire e nell'abbinamento disabile/volontario, ma anche nel supporto informativo e per ogni esigenza 'materiale' che abbia a che fare con lo svolgimento del compito del volontario. Il volontario ha la possibilitˆ di rivolgersi all'assistente sociale in qualunque momento per affrontare qualsiasi problema sollevato dal disabile. La consegna ai volontari di non fornire alcun sussidio o prestazione materiale, mantenendo la loro funzione di testimone, come eminentemente 'relazionale e simbolica', dunque il più possibile non connessa con il fare. Non viene data una cosa, una prestazione, un aiuto materiale o un trasporto con propri mezzi, ma una presenza attenta e disponibile all'ascolto. Ai fatti concreti provvede, con la competenza e le conoscenze che sono proprie del ruolo, l'assistente sociale. Questa distinzione così netta fra il conduttore di gruppo e l'assistente sociale aiuta il volontario a differenziare a sua volta, all'interno del proprio compito, ci˜ che pu˜ essere risolto con il fare e delegato all'assistente sociale, da ci˜ che invece riguarda il compito specifico del volontario: cio il prendersi cura non degli aspetti materiali, ma della relazione. Non il 'fare', ma lo stare insieme che verrˆ rivisto nel gruppo di discussione. Anche per il disabile diventa più facile vivere una nuova esperienza in cui non venga solo aiutato, ma possa riscoprire o scoprire il piacere di stare con l'altro. Tutto ci˜ favorisce nel volontario, un coinvolgimento filtrato dalla riflessione sugli affetti sperimentati e non solo fondato su emozioni immediate o, peggio, pietistiche. La 'leggerezza' della propria presenza lo aiuta a diventare un interlocutore e un osservatore empatico e privilegiato della situazione: questo favorisce lo sviluppo di una preziosa funzione di contenimento e modulazione delle angosce presenti nel contesto familiare del disabile. Il disabile nel contempo si sente ascoltato e capito le sue ansie diventano più tollerabili e meno spaventose. Sappiamo infatti quanto il sentirsi capiti sia nutrimento essenziale per vivere, tanto quanto il cibo. Tutto questo processo, apparentemente facile, nella pratica rappresenta una conquista, una maturazione ed il risultato del percorso di crescita all'interno della relazione volontario/disabile e all'interno del gruppo di formazione. Trascriviamo qui alcuni brani ricavati dalle relazioni dei volontari al fine di ricostruire una sorta di ideale percorso del gruppo di discussione, che in quanto esperienza partecipata, fin dai primi incontri crea una storia in cui il passato diventa formazione per il presente, permettendo di dare un senso costruttivo alla relazione volontario-disabile. Agli inizi, i membri trovandosi su un terreno sconosciuto ricorrono a stereo tipie condivise e comunicabili: ci˜ che viene portato al gruppo manca di par tecipazione e autenticitˆ, appartiene ad un mondo generalizzato e anonimo. In questo primo tempo il gruppo vissuto come un contenitore rassicurante: questa la prima fase dell'essere insieme, nello stesso tempo-spazio, con lo stesso compito da svolgere. Il gruppo in questo momento iniziale ha lo scopo di fornire l'opportunitˆ di un'esperienza ancora informe, in cui i volontari sono imbarazzati, spaesati, interrogativi, ma contenti di essere protetti e di poter acquistare fiducia. L'AREA diviene così uno spazio intermedio di esperienza tra la realtˆ interna dei singoli volontari (emozioni, pensieri, dubbi, scoramenti, difficoltˆ) e la realtˆ esterna dei disabili e delle loro famiglie. Le relazioni sulla prima visita, presentate dai volontari al gruppo, contengono il racconto quasi unisono di ansie e incertezze legate all'incontro con il disabile, percepito come un mondo nuovo da scoprire. Vania: "Non posso nascondere che ero un po' agitata. Salivo le scale con diffi coltˆ e quella porta sembrava aprisse un mondo sconosciuto, un mondo diverso dall' apparente normalitˆ. Irene: "Ed eccomi qui. Ho frequentato il corso, sono stata chiamata dalla assistente sociale. Ho saputo di Anna Maria. Ho telefonato alla sua mamma per fissare il primo appuntamento e ho guidato fino a casa sua. Ma non ero io la persona che stava agendo, o meglio non mi sono resa del tutto conto che ero io in prima persona ad essere coinvolta in questa esperienza. Non mi sono accorta di questo fino a quando, uscendo dall'ascensore ho visto una ragazza fragile, ma nello stesso tempo forte. Forse perchŽ carica internamente di una energia che solo un desiderio avveratosi pu˜ produrre. Mi ha abbracciata forte e mi ha dato due baci. DopodichŽ mi ha fatto entrare nella sua casa e ho avuto la sensazione di avere ricevuto il permesso di entrare nella sua vita. Mauro: "Dopo il colloquio telefonico avuto con la madre, e con Jacopo stesso che aveva voluto parlarmi di persona, mi sono trovato emozionatissimo a salire le scale del palazzo dove la famiglia abita. Arrivato con il fiatone, mi trovo tutto emozionato a casa di Jacopo. Paolo: "Arrivo a casa di Roberto alle 18.30 esatte dopo un'attesa di circa dieci minuti, trascorsi nella macchina posteggiata, cercando di rilassarmi. Mi accoglie il padre, molto cordialmente, nel pianerottolo, non si accorge neanche del tes serino di riconoscimento che, goffamente, cerco di mostrargli. Quasi ad evitare l'ansia che il primo incontro scatena, il disabile viene descritto attraverso 1'handicap che presenta e con la prognosi prevista a livello medico. Renzo: "Mi hanno affidato il disabile Nicola che sordo-muto". Luciano: "Dalle informazioni ricevute dalla madre, non possibile attendersi evoluzioni positive della sua condizione ed i farmaci che assume riescono appena a contenere la situazione sotto controllo". Laura: 'Maria a una ragazza di 22 anni, ma ha una capacitˆ intellettiva di una bimba di 6-7, a 15 mesi stata colpita da un'encefalite. Parla e cammina normal mente, legge e scrive con difficoltˆ a causa di un difetto ottico, la pupilla ha movimenti sussultori, quindi non riesce a fermare le immagini, porta occhiali da vista quando scrive o legge, ma questi servono solo ad ingrandire le immagini. Aurora: "Claudia a una ragazza di 26 anni colpita da tetraparesi spastica all' etˆ di nove mesi procurata da vaccino Sabin". Nei primi incontri del gruppo, i volontari si ribellano alle "regole" dell'AREA, sono "scandalizzati" che il loro compito non sia traducibile nei termini di "fare amicizia"; tutti vogliono dare affetto e vicinanza e più volte ripetono, riferendosi ai disabili " importante non farli sentire diversi". La regola del tempo (i due anni previsti per l'esperienza del volontariato guidato) la più invisa "Dopo due anni l'AREA ci licenzia". La discussione di gruppo sull' esperienza dell'incontro con i disabili, porta i volontari ad una serie progressiva di scoperte relative alla autenticitˆ e all'immediatezza del sentire e all'uso del sentimento come strumento di rapporto. In questa che potremmo per comoditˆ descrittiva chiamare seconda fase, i sentimenti e la loro narrazione acquistano un posto assolutamente centrale garantito dall' AREA che si presta come uno spazio che favorisce una sicurezza suf ficiente entro cui i volontari possono esprimersi. Il pensare in gruppo consente di esplorare le emozioni e le parole diventano non più soltanto racconto di fatti, ma anche una narrazione di affetti. "Se le parlo come ad una bambina ho paura di offenderla, ma se la tratto da donna ho timore che non mi capisca", scrive Silvana pensando a Claudia. La tetraparesi di Federica, del cui dolore Vania diventa interlocutrice, diviene "paralisi della curiositˆ: Federica non "incollata" al divano soltanto perchŽ il suo corpo non asseconda il suo desiderio di movimento, ma perchŽ Federica ha allontanato da s il desiderio di esplorare il mondo. Vania propone allora a Federica di fantasticare insieme e quando lo riferisce al gruppo commenta: 'Non so perchŽ, mi sembrava potesse farle bene". La ricerca della "logica" che guida di consueto le relazioni, viene abbandonata: Irene: "Sono stata lˆ circa due ore e quando ho detto che andavo via, Anna Maria era molto dispiaciuta e mi ha chiesto se ritornavo il giorno dopo. Io le ho detto di no e lei ha risposto -Ti prometto che quando vado dal dentista faccio l'anestesia- Sembra una risposta che non stia n in cielo ne in terra, per voi, ma per me penso che abbia importanza. Forse rappresenta il primo segno di fiducia che lei ha in me". I membri del gruppo riorientano gli accadimenti del rapporto volontario-disabile verso modalitˆ di relazione più adulta dove il disabile non l'handicappato che deve ricevere e l'altro il suo benefattore che tutto dˆ, ma una persona che pu˜ acquisire strumenti anche attraverso l'impegno e la fatica. In una discussione di gruppo si sottolinea che Maria non sapeva nŽ leggere nŽ scrivere. Alle medie, una professoressa che Maria ventiduenne ricorda ancora oggi affettuosamente, l'ha bocciata per due anni riconoscendo potenzialitˆ che Maria stessa non utilizzava. Oggi Maria, seppure con difficoltˆ, scrive e legge. Questa osservazione propone un riesame delle "regole" così tanto rifiutate e criticate, quando l'AREA le aveva proposte come cardini della propria modalitˆ di lavoro. I limiti non sono soltanto soffocanti barriere, ma possono anche divenire confini rassicuratori entro cui potersi muovere liberamente. In un altro incontro di gruppo, dalla enorme solitudine di Massimo (sia esterna, poichŽ dopo il matrimonio della sorella Massimo solo), sia interiore, poichŽ ai primi incontri Massimo era parso pressochŽ insensibile agli stimoli che gli giungono, nasce la magia degli affetti. Massimo si riscuote e ricorda appropriatamente oggetti, situazioni e personaggi che si collegano alle emozioni che sperimenta nell'incontro. Da quando ha visto la macchina che Paolo, il volontario, gli ha indicato come sua, Massimo riconosce la Fiat Uno e sorridendo commenta "la tua macchina". Luciano scrive del piccolo William: "All'arrivo prima sorpresa: W. mi riconosce subito, mi afferra e mi trascina nella sua cameretta. Immediatamente si inizia a giocare con la cassa e i cubi. Nessun altro gioco lo interessa. Poi, finalmente, un'idea: un gioco veramente rumoroso l' unico modo per fargli accettare qualcosa di nuovo. In una piccola base quadrata inseriamo dei pezzi ad incastro fino a formare una specie di aereo. Poi, simulando il rumore del motore, lo faccio roteare per la stanza fino a farlo atterrare sul pancino. A questo punto risate a crepapelle. Conclusione: due serate di voli, atterraggi e abbracci". La relazione volontario-disabile si sposta a mano a mano dalla considerazione dei bisogni che conducono all'impotenza, alla lettura del desiderio che porta invece al progetto. Paolo: "Mi pare Massimo si crei delle situazioni all'interno delle quali si trova completamente a proprio agio, parlando e discutendo per quello che lo riguarda in modo sbalorditivo se confrontato a quanto sia indifferente rispetto ad altre situazioni. Quindi sembra che abbia un grande bisogno di compagnia, di gente con cui parlare, che gli presenti delle situazioni differenti da quelle solite in modo da aumentare i suoi interessi e le sue attenzioni, cercare di creare in lui dei nuovi stimoli che lo rendano più partecipe". Nell'ultima fase del gruppo, quella che potremmo chiamare del comprendere, la relazione volontario-disabile, così tanto indagata ed elaborata porta alla scoperta, prima fra tutte, delle necessitˆ di liberarsi del pregiudizio secondo cui l'handicappato ha solo dei bisogni nei confronti dei quali si pu˜ solo dare senza mai aspettarsi di poter ricevere. Il linguaggio che il gruppo utilizza a questo punto non più uno strumento per difendersi (le parole diagnosi, prognosi, bisogno, malattia, ecc.), ma diventa parola per stare insieme. In una seduta di gruppo, i volontari, dopo aver ascoltato le relazioni previste, si sono interrogati sull'oggetto "esperienza volontariato" cercando di "comprendere" appunto che cosa accade all'interno dell'esperienza stessa. Paolo: "Noi portiamo l'ascolto. Queste persone ascolano sempre, anche Roberto come vi ho detto. Noi siamo lì per loro e li ascoltiamo". Mauro: "E' vero, per˜ portiamo anche il dubbio. Loro hanno solo delle certezze: la malattia, le giornate al C.S.T., le gite, qualche incontro, la TV. Noi dentro a queste abitudini e certezze mettiamo dei dubbi. E' solo il dubbio che fa pensare". Silvana: "Mi faccio degli scrupoli perchŽ a differenza di quello che succede nei rapporti normali, Claudia mi parla e mi racconta. Poi si ferma e mi dice: -Ora parla tu, racconta.- Io faccio delle cose che lei non pu˜ fare. Allora non sono solo io che faccio venire dei dubbi a Claudia, anche lei che li fa venire a me. Cosa le dico? Racconto quello che faccio, ne avrei voglia, per˜...". Irene: "Credo di aver capito.... E' la differenza fra condividere le esperienze, e allora loro non possono fare le cose come noi, e il racconto invece di quello che si fatto, le parole, i racconti, quelli sì che si possono dividere". IL VOLONTARIATO NEI LABORATORI. I laboratori L'AREA sta sperimentando un metodo di intervento che si concretizza in attivitˆ di laboratorio che offrono a ragazzi disabili la possibilitˆ di acquisire o migliorare abilitˆ specifiche, confrontarsi con se stessi, i propri limiti e le proprie potenzialitˆ, muovendo nelle dimensioni del gioco, del divertimento e del piacere. I laboratori attivati presso l'AREA sono due: laboratorio di musica e laboratorio di colore, rivolti a disabili di etˆ compresa fra i 15-25 anni. I gruppi di ragazzi disabili sono guidati da esperti verso la conoscenza di tecniche e di luoghi per loro poco familiari e carichi di opportunitˆ creative, l'aspettativa va verso un impegno dei ragazzi nell' attivare capacitˆ residue o mai sperimentate. La musica presenta intrecciate fra loro una severa rigorositˆ e ampi spazi creativi, rappresenta un interesse per la maggior parte delle persone, ed in particolare per le persone disabili spesso costrette ad una vita avara di relazioni e quindi bisognosa di interessi fruibili in casalinga solitudine. La peculiaritˆ del corso di musica sta nel ribaltamento di posizione che esso permette, infatti gli allievi, partendo dalla tendenza a consumare passivamente, possono intraprendere un cammino nel mondo sonoro in veste di produttori-protagonisti fino ad arrivare a padroneggiare questa nuova possibilitˆ di comunicazione. Il colore forse l'attivitˆ artistica che offre i maggiori strumenti utili a stimolare la capacitˆ di esprimere qualcosa di s attraverso un codice diverso da quello verbale, il codice dei colori, delle linee, delle forme. Con l'insegnamento delle diverse tecniche i ragazzi sono guidati in un percorso verso un'espressione sempre più strutturata delle proprie rappresentazioni, passando dall'informe macchia di colore al rispetto degli spazi e delle forme, in questo continuum di strumenti, ognuno pu˜ attestarsi al livello più consono alle proprie potenzialitˆ. Ogni corso, condotto da un esperto, contempla la presenza di sette-otto ragazzi disabili e di due-tre volontari, per circa due anni il gruppo si riunisce due pomeriggi alla settimana per tre ore, di cui due di lavoro ed una di socializzazione. I ragazzi possono partecipare ad un solo corso, non ripetibile, questo per facilitare loro lo sviluppo di un senso di appartenenza e migliorare le possibilitˆ di un investimento affettivo di rilievo. I volontari In ogni laboratorio collaborano due-tre volontari, per questo tipo di esperienza viene privilegiata la scelta di giovani, in etˆ simile a quella dei ragazzi disabili per agevolare la possibilitˆ di una buona atmosfera di gruppo e di relazioni bilanciate. Anche per i volontari nei laboratori vale la regola del tempo che delimita l'esperienza. La presenza di ragazzi volontari diventata un elemento fondamentale nel funzionamento dei laboratori, in quanto permette di realizzare dei gruppi estremamente eterogenei in cui ognuno pu˜ sperimentarsi in relazioni a diversi livelli. I ragazzi disabili vivono un'esperienza di accettazione e di rapporto con persone "normali", autentica ed intensa, in una dimensione di reciproco scambio, questo costituisce uno stimolo ad uscire da una posizione depressiva inevitabile in un gruppo di disabili. Un'atmosfera più calda e delle figure in cui identificarsi agevolano i processi di apprendimento su cui fanno leva le attivitˆ. Pertanto il volontariato nei laboratori si propone come trait-d'union fra le rappresentazioni di un mondo di impossibilitˆ ed uno in cui si pu˜ giocare con i colori, con i suoni, in cui qualcosa vissuto come irraggiungibile diventa alla portata. Saranno proprio le relazioni che si struttureranno nei gruppi ad assolvere questa funzione di volˆno. I volontari hanno una preziosa funzione di supporto ai ragazzi disabili nell'affrontare le difficoltˆ che l'attivitˆ comporta, supporto che si concretizza nell'aiutarli a padroneggiare una situazione o nel lavorare a fianco a loro offrendosi come modelli di stimolo e d'identificazione. Essi diventano così sostegno e modello a cui potersi rivolgere, una sorta di "io ausiliario" che accompagna i ragazzi disabili in un percorso di autonomia. Spesso gli stessi volontari palesano difficoltˆ laddove i ragazzi portatori di handicap riescono agevolmente, questo un aspetto che contribuisce enormemente a relativizzare i rapporti ed a far crescere in tutti la consapevolezza di limiti e potenzialitˆ. La difficoltˆ maggiore che un volontario pu˜ incontrare in questo compito legata al trovare un equilibrio nei propri interventi, ossia al tenere a bada il bisogno di essere utile, di aiutare a tutti i costi, in sostanza deve avere presente lo spazio dell'altro. Iniziando a frequentare i laboratori i volontari scoprono di trovarsi di fronte a ragazzi con un loro carattere, loro gusti e loro passioni, scoprono di provare più simpatia e sintonia per qualcuno che per altri e, soprattutto si rendono conto che spesso non sono loro a condurre il gioco, in poche parole scoprono di avere a che fare con persone prima che con handicappati. Queste scoperte avvengono tramite un processo di trasformazione reciproca e sinergica, laddove l'intervento dei volontari agevola lo sviluppo della "rappresentazione di sŽ come persone in grado di...", nei ragazzi disabili; a sua volta, tale sviluppo mette in crisi i volontari, che si trovano costretti a confrontarsi con persone che non coincidono con le loro rappresentazioni, inducendoli a rimettere in costante discussione la loro funzione. Riteniamo pertanto che la modificazione dell'uno induca la modificazione dell'altro in un rapporto di reciproca crescita, arricchimento e modificazione. Al termine dell'esperienza ai volontari resta la consapevolezza di aver fatto per se stessi non meno di quanto hanno fatto per gli altri, in una piacevole dimensione di scambio. Riportiamo la relazione di una volontaria, Chiara, che, al termine della sua esperienza, descrive così il suo percorso: "Quando ho cominciato la mia esperienza di volontaria non avevo proprio idea di che cosa potesse significare per me. Dovevo stare con persone di cui non sapevo nulla, con problemi che mai avevo affrontato, in un contesto che anche a me era del tutto nuovo. Per˜ avevo voglia di provare, conoscere realtˆ diverse dalla mia e verificarmi su alcuni punti del mio carattere, modi di vedere e vivere la vita. Ho chiesto di collaborare mentre stavo attraversando un momento molto difficile, mi sentivo incapace di amare e contemporaneamente pensavo non fosse possibile. In un modo o in un altro dovevo tirare fuori l'amore che sentivo di avere dentro, non poteva rimanere arido e improduttivo. Così ho pensato che avrei potuto dare una mano a chi non ha avuto la fortuna sfacciata che invece ho avuto io. Capire come comportarsi con ciascun ragazzo non stato per nulla facile. Anzi, ad essere sincera, devo dire che neanche adesso so come avrei dovuto fare. Ma all'inizio ero molto più preoccupata e mi pesava tantissimo quel lunedì pomeriggio, che mi metteva di fronte ai miei limiti, alla mia deficienza. Lì in mezzo l'handicappata ero io. Ero io incapace di comunicare, di capire ci˜ che gli altri mi dicevano o mi volevano trasmettere. E si che avrei tanto voluto regalare un po' di gioia, creare dei momenti "lontani" da quella realtˆ così triste; o meglio dimostrare che quella realtˆ, triste poteva anche non essere, in certi momenti almeno. E invece ho pensato di non essere la persona giusta per comunicare gioia. Non riuscivo mai a scaricare tutti i problemi personali, e così li portavo sempre con me e tutti se ne accorgevano. Chissˆ , forse se ne facevano anche carico. Per˜ ero contenta di stare con loro, anche se magari non sembrava. Con il tempo, con la conoscenza, i rapporti si sono fatti più rilassanti, penso anche più veri: tutti un p˜ meno diffidenti, più aperti e disposti al gioco me compresa. Penso sia significativo che da un certo momento in poi tornando a casa si cantava tutti insieme." CONCLUSIONI Il progetto qui presentato di formazione del volontariato si basa sulla convinzione che nessun altro, tranne un volontario, potrebbe occuparsi della disabilitˆ senza nulla fare e contemporaneamente raggiungere l'obiettivo di un significativo cambiamento di qualitˆ di vita, soltanto attraverso la relazione. L'intenzionalitˆ progettuale di un professionista, in effetti, non potrebbe creare i presupposti di un margine di gioco tale da far perno sulle potenzialitˆ residue e nascoste del disabile per svilupparle. Il volontario usa se stesso non per un progetto giˆ definito (come invece il caso del professionista) per costruire insieme con il disabile un rapporto che non giˆ dato a priori, ma nasce progressivamente nel corso degli incontri che arricchiscono entrambi. Questo apprendimento 'su di sŽ', che avviene nel volontario, costituisce a giudizio dell'AREA la motivazione all'attivitˆ stessa e la sua retribuzione simbolica. Si potrebbe descrivere il cammino del volontario nell'AREA come un percorso di cambiamento da un rapporto centrato sul fare la caritˆ, in cui assolutamente indifferente l'identitˆ della persona che riceve, poich ci˜ che importa il gesto, alla modalitˆ relazionale del fare un dono, dove si presuppone che chi riceve possa restituire. La reciprocitˆ diviene così un aspetto centrale dell'incontro-scoperta volontario/disabile. In sintesi il progetto di formazione qui descritto poggia sui seguenti punti: {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h} considerazione del disabile come persona e non come individuo mancante; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h} uso della relazione e del gioco come strumenti di cambiamento; {SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h} reciprocitˆ tra chi dˆ e chi riceve, a partire dal riconoscimento delle rispettive differenze; {PAGINA \# "'Pagina: '#' '"|Pagina: 4 }[PS1] esplicitare che cosa significa fare il volontario diverso dall'essere volontario Martinasso, Serniotti, Tesio - La formazione del volontariato - AREA - Torino {PAGINA|2}