[Da ZNorth]

AREA: 
UNO SPAZIO PER PENSARE ALLA FORMAZIONE DEL VOLONTARIATO


Mauro Martinasso, Giovanna Serniotti, Elio Tesio

Introduzione	2
Il percorso del  volontario nell'area: dall'informazione alla
formazione	3
L'informazione	4
La formazione: il gruppo dei volontari	4
Il volontariato di quotidianitˆ e di laboratorio.	7
Il volontariato di quotidianitˆ	7
Il volontariato  nei laboratori.	12
I laboratori	12
I volontari	12
Conclusioni	14


INTRODUZIONE

Questo scritto  la sintesi di un'esperienza che dura ormai da otto
anni nell'ambito della formazione e dell'organizzazione del
volontariato.

 L'AREA, Associazione Regionale Amici degli Handicappati, opera a
favore dei disabili (adulti e bambini) senza occuparsi di fasce
specifiche di handicap, in quanto si  proposta di centrare
l'intervento sulla relazione che pu˜ essere instaurata con la persona
disabile, tenuto ovviamente conto della sua menomazione.

L'approccio dell'AREA alla disabilitˆ  passa attraverso una
ridefinizione del termine handicappato. Questo termine ha perso, nel
parlare comune, le sue caratteristiche di aggettivo per assumere
quelle di sostantivo, caratterizzandosi come concetto esteso che
comprende tutte le persone che lamentano una qualche forma di disagio.

Questo  fa sì che la persona disabile venga identificata con  la sua
difficoltˆ, difficoltˆ che perde la  connotazione di limite specifico,
per trasformarsi in rigida ed invalicabile barriera fra il normale ed
il diverso. Tutto ci˜ accresce quel senso di isolamento che giˆ il
disabile vive dentro di sŽ e che vede confermato nella vita di
relazione e spesso anche nel contesto familiare. Il termine
handicappato diventa una sorta di etichetta, di marchio che da un lato
emargina, e dall'altro crea intorno alla persona disabile un mondo
privo di aspettative, legittimandola in una dimensione passiva, per
nulla stimolata ad attivare le risorse residue. Si crea così un
circolo vizioso per cui la societˆ avverte il bisogno di assistere
l'handicappato e questi aderisce all'immagine ed alle aspettative che
il contesto esprime verso di lui, passivizzandosi. 

Non condividendo questa visione della disabilitˆ, l'AREA ha costruito
il proprio progetto centrandolo sulla persona evitando  di focalizzare
l'attenzione su 'ci˜ che manca' al disabile  (vista, udito, motricitˆ,
intelligenza, capacitˆ cognitive ecc...). La persona disabile  non
viene vista per la deprivazione da cui  colpita, ma incontrata
attraverso la scoperta delle risorse che possiede  e non esplicita. Il
cardine intorno cui ruota l'intero operato dell'AREA  l'individuo
nella sua completezza: la persona, non le sue parti.

Occupandosi del disabile nella sua totalitˆ di individuo, si osserva
che egli   limitato non solo da  barriere architettoniche, ma anche e
soprattutto da barriere psicologiche. Nella costruzione di tali
barriere concorrono sia i pregiudizi della societˆ, che gli ostacoli
emotivi interni del disabile, che ha di se stesso un'immagine - spesso
combaciante con quella esterna - , di persona incapace, passiva e da
soccorrere. L'incontro tra questi due stereotipi, interno ed esterno,
crea l'isolamento in cui spesso il disabile  imprigionato.

L'obiettivo che l'Area ha posto a fondamento del proprio progetto di
lavoro  quello di favorire l'uscita dalla chiusura  e
dall'isolamento, l'apertura di brecce nelle barriere psicologiche,
nella convinzione che questi spiragli garantiranno la possibilitˆ di
una vita migliore.

Per realizzare questi obiettivi l'AREA  si avvale della collaborazione
di gruppi di volontari che offrono al disabile la possibilitˆ di
riuscire ad incontrare qualcuno che, stando con lui, possa accostarsi
a che cosa significano la sua condizione e la sua esperienza di vita.
Questo ha il senso di costruire un'esperienza di condivisione in cui
il volontario, il "compagno di strada", aiuta a tollerare, con la
propria presenza, gli accadimenti e le vicissitudini della
quotidianitˆ.

Le esperienze che vengono qui descritte rispondono ad un progetto
teorico che guida passo passo la metodologia di lavoro e che   stato,
grazie a questa, continuamente rivisto e adeguato. Il quadro di
riferimento teorico  apparso necessario per costruire una 'cornice'
capace di contenere un fenomeno variegato quale quello del
volontariato, che  quanto mai spontaneo, non assoggettato a regole
istituzionali, determinato dalla scelta individuale, spesso non
sufficientemente elaborata.

Il referente teorico seguito  quello psicologico che vede nella
relazione e nell'esperienza emotiva uno strumento idoneo per 
orientarsi all'interno del rapporto volontario-disabile,  rapporto
che,  come spesso accade nell'interazione tra persone, tende ad essere
eroso dai bisogni e dalle domande che uno rivolge all'altro. 

Così come l'Area ha ritenuto necessario ridefinire la disabilitˆ allo
stesso modo ha ripensato alla funzione del volontario. Il volontariato
, nella prospettiva dell'Associa- zione,  una dimensione di per sŽ
non codificabile, poichŽ non  inscrivibile, come qualsiasi impiego,
all'interno di parametri spazio-temporali. E' infatti senza tempo (si
pu˜ essere volontari episodicamente, ma anche per tutta la vita) e
senza spazio (esiste forse un qualche luogo, caratterizzato dal
bisogno e dal disagio, in cui non sia possibile e auspicabile
esplicitare una partecipazione volontaria e di aiuto?)


Per realizzare questi obiettivi era ed  essenziale strutturare un
percorso di formazione   del volontario che permetta:
a) di circoscrivere e definire l'esperienza del volontariato;
b) di perseguire l'obiettivo di liberare le potenzialitˆ creative del
disabile attraverso l'uscita dall'isolamento;
c) di utilizzare la relazione volontario/disabile come recupero di
potenzialitˆ e dunque strumento di cambiamento.

IL PERCORSO DEL  VOLONTARIO NELL'AREA: DALL'INFORMAZIONE ALLA
FORMAZIONE 

L'AREA ha definito il proprio operato in termini di 
cornice-contenitore che ha il compito di circoscrivere le esperienze
del volontariato.

Parlare dell'AREA come di un contenitore delle esperienze di
volontariato significa vedere nell'Associazione un luogo in cui 
possibile raccontare ed elaborare le esperienze compiute, accogliendo
e dotando di senso sentimenti, angosce, sconforti, successi e domande.

L'AREA  guida l'esperienza dei volontari utilizzando delle regole che
hanno la funzione di una sorta di comune denominatore, di una
invariante, a partire da cui verranno portate avanti le esperienze
individuali.

Queste "regole" sono date dalla temporalitˆ (ogni volontariato dura
due anni), dalla non assunzione di un ruolo definito a priori e dalla
delimitazione dei 'luoghi' in cui tale esperienza viene effettuata. 

La temporalitˆ prevede che il volontariato - circoscritto a due anni -
non sia permanente. Lo scopo di questo limite  di garantire la non 
trasformazione del volontariato in impiego. La regola del tempo  che  
delimita l'esperienza del volontario  e  la qualifica come tale, pone
un confine fra l'essere volontario e fare il volontario. Nel primo 
caso  infatti l'idefinitezza della temporalitˆ costituisce una
identitˆ,  il volontario a vita, mentre nel fare  il volontario la
limitatezza del tempo apre alla progettualitˆ. [PS1]

Nell'AREA, per tutto il corso dell'esperienza, l'attivitˆ del
volontario rimane  non definita in modo rigido, nel senso di  non
identificata in una attivitˆ specifica, pena lo scivolamento in
'professionalitˆ', che irrigidirebbe il rapporto e le potenzialitˆ 
espressive. Il volontario articola creativamente il proprio operato
nel rispetto della personaliltˆ del disabile, costruendo una nuova
relazione con questi.

Il luoghi di intervento, previsti  dal progetto di formazione  del
volontariato, sono due: il luogo del fare ed il luogo della
riflessione. I luoghi del fare sono quelli in cui il volontario svolge
la propria esperienza di relazione con il disabile: gli spazi previsti
in questo senso sono quelli dei laboratori  interni all'AREA e  spazi
di vita quotidiana all'esterno dell'AREA stessa. Il luogo della
riflessione, interno all'AREA,  lo spazio del gruppo di discussione,
di seguito descritto.

A partire dalle finalitˆ e dalle regole qui illustrate, l'AREA ha
elaborato un progetto di informazione/formazione, distinguendo
chiaramente i due aspetti.


L'INFORMAZIONE

L'informazione  intesa come preparazione all'esperienza ed 
strutturata secondo un percorso preciso: 

{ARG "   Il primo contatto, la richiesta, le condizioni poste .   
"}1.	la pubblicizzazione della ricerca di volontari, primo messaggio
che l'AREA invia su se stessa, avviene tramite quotidiani locali.
Attraverso una telefonata viene fissato un  colloquio informativo, al
termine del quale  consegnato un foglio di presentazione delle
condizioni di accoglimento della richiesta di volontariato;
2.	segue a questo primo contatto,  un corso preparatorio, consistente
in 6/7 incontri  settimanali di due ore ciascuno, in cui vengono
illustrate le attivitˆ  dell'AREA e vengono sviluppati, da esperti di
singole discipline, alcuni temi relativi al volontariato,  cui segue
un dibattito ed un lavoro a piccoli gruppi;

LA FORMAZIONE: il gruppo dei volontari

Più articolato e complesso  invece il momento della formazione vista
come un 'dare forma' all'esperienza  che viene compiuta nei due anni
di volontariato.

Il  progetto elaborato dall'AREA parte  dall'ipotesi che un'esperienza
di volontariato abbia intrinseche valenze di formazione, e che questa
formazione vada nella direzione di un riconoscere, attraverso la
riflessione sull'esperienza, le intenzioni, le emozioni, i pensieri
che strutturano la relazione volontario/disabile.

Il volontario in questo rapporto pu˜ permettere  al disabile il
passaggio dalla temporalitˆ chiusa e ripetitiva del destino
(l'handicap, la menomazione) ad una temporalitˆ aperta  e progettuale
(nella relazione con gli altri  e con se stesso) fondata sugli aspetti
funzionanti e a partire dai limiti costituiti dalla disabilitˆ.

Proprio per la delicatezza di questo compito, la formazione, fondata
sull'apprendere dall'esperienza, va  distinta dalla in-formazione,
dall'addestramento, dall'istruire. Lo strumento di formazione  stato
individuato nella composizione in gruppo dei volontari, gruppo
centrato sulla discussione di protocolli di osservazione di quanto
accade nella relazione con il disabile. 

Al termine del corso preparatorio, che, oltre ad uno scopo
informativo, ha un obiettivo di valutazione delle motivazioni iniziali
all'attivitˆ di volontario, segue un colloquio con il conduttore del
gruppo di formazione che ha la responsabilitˆ di selezionare i
volontari e di aiutarli nella loro scelta. Tale colloquio indaga sulle
motivazioni del richiedente, restituendole e valutandole insieme come
coincidenti o non coincidenti  con gli scopi e finalitˆ  dell'AREA
rispetto all'attivitˆ di volontariato. Questo  un momento di
riflessione "ad alta voce", del tutto personale, in cui l'esito
dell'incontro non rappresenta un giudizio di valore sulla persona, ma
sulla adeguatezza rispetto al compito da affrontare e all'esperienza
che viene offerta dall'AREA.

Il gruppo di formazione  un gruppo di lavoro, un gruppo operativo,
centrato sul compito dell'analisi della relazione volontario/disabile,
analisi grazie alla quale si costruisce un  apprendimento su di s  e
sull'altro. 

Il gruppo di lavoro  per la formazione dei volontari  concepito come 
un gruppo che ha da svolgere un compito specifico (sia esso
all'interno dei laboratori  o negli spazi di vita quotidiana della
persona disabile) e  raggiunge la cooperazione mediante la riflessione
e il dialogo sulla esperienza stessa.

Esso   governato da alcune idee di fondo che lo caratterizzano:
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h}	l'idea dello 'sviluppo', al posto
di quelle dell'essere dotati per istinto, cio  l'idea che le persone
come il gruppo possano crescere (psichicamente) e che si dovrˆ 
faticare per conquistare le proprie mete. Nell'incontro con il
disabile non basta la buona volontˆ occorre anche imparare ad
osservare l'interazione reciproca per migliorarla; 
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h}	una dimensione temporale, cio di 
processo e di percorso, nel senso che questo apprendimento richiede
tempo, non  'spontaneo' ed implica un continuo ripensare
all'autenticitˆ del rapporto volontario/disabile;
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h}	come corollario indispensabile
dell'idea dello 'sviluppo', il gruppo progressivamente fa propria la 
validitˆ  dell'apprendimento dall'esperienza: si impara facendo e
pensando in modo che l'emotivitˆ di un rapporto, volontario/disabile,
così intenso,  diventi fonte di conoscenza e di crescita;
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h}	il progressivo organizzarsi e
strutturarsi del gruppo di lavoro sono strumenti dell'intervento del
volontario e sono il prodotto della cooperazione tra i membri del
gruppo stesso.  Di qui l'articolarsi meglio dell'idea della
solidarietˆ e della collaborazione come strumento prezioso nella
relazione d'aiuto ai disabili. 

Il 'compito' che l'AREA stabilisce per il gruppo di lavoro rappresenta
il fondamento del gruppo stesso ed il legame che lo cementa e lo
ˆncora con la realtˆ. Questo  soprattutto per un gruppo di volontari,
 un aspetto importante, per evitare l'idea di risolvere tutto
esclusivamente con l'impegno, riscontrabile talvolta nella scelta
stessa del volontario di fare il volontario,  e per ridurre il rischio
 del fallimento. 

Per questa ragione il gruppo del  volontariato 'di quotidianitˆ' e 'di
laboratorio' si ritrova a cadenze predefinite (quindicinalmente nel
primo caso, mensilmente nel secondo) per la durata di due ore, così
come la presenza con la persona disabile  predeterminata e concordata
in modo stabile e prevedibile. 

L'organizzazione del gruppo prevede la presentazione a turno da parte
di ogni volontario di uno scritto, distribuito a tutti i membri del
gruppo,  con la descrizione di uno o più incontri avvenuti fra il
volontario stesso ed il disabile che gli  stato affidato.  

Le parole scambiate all'inizio del gruppo non sono mai racconto di
stati d'animo, sono un 'parlare di..': solitamente del disabile visto
come diverso e lontano, della famiglia di questi spesso
colpevolizzata, delle istituzioni cui quasi sempre viene attribuita la
responsabilitˆ di trattamenti inadeguati e dunque della non
risoluzione dell'handicap.

L'esperienza della continuitˆ degli incontri in gruppo fa sì che ogni
comunicazione venga collegata alle precedenti e la parola diviene  un
'parlare tra' persone che portano avanti un progetto comune, che viene
interrogato e modificato producendo nuove esperienze. 

L'essere presenti in gruppo comporta la discussione del proprio
comportamento, ed il racconto, introducendo il pensiero, allontana
dall'immediatezza del fare ed avvicina al significato della relazione.


In questo modo, dopo la fase iniziale, lo scopo principale dei membri
del gruppo non  più l'immediato sollievo dalla sofferenza del
disabile, ma  il desiderio di una migliore comunicazione con questi,
il che si trasforma nella ricerca del significato degli atteggiamenti
adottati. Questo processo ha ovviamente delle oscillazioni a seconda
delle difficoltˆ incontrate. Nei momenti più complessi il gruppo si
riorienta ad essere  contenitore delle angosce, funzionando secondo
modalitˆ più primitive e riappiattendosi talvolta sulla considerazione
del disabile come handicappato da soccorrere. 

Ogni volontario ha grazie al gruppo l'opportunitˆ di paragonare e
contrapporre il proprio modo di agire a quello degli altri constatando
che ci˜ che riteneva personale  comune e ci˜ che riteneva diffuso 
invece suo. Questo permetterˆ di sperimentare nuove e creative
soluzioni relazionali. 

Il conduttore del gruppo ha il compito di favorire la nascita e la
crescita della capacitˆ di  pensare insieme per poter pensare meglio e
consentire l'attuarsi della riflessione sulle esperienze compiute. 

Come si vede l'AREA guida il volontario ad  instaurare con il disabile
 una relazione che, invece di operare il tentativo onnipotente e
quindi fallimentare di dare ci˜ che manca,   offra l'aiuto di
condividere  un tempo definito a priori, per costruire insieme nuove
esperienze di affetto e di pensiero tramite due tipi di volontariato.

IL VOLONTARIATO DI QUOTIDIANITÀ E DI LABORATORIO. 

L'obiettivo di questi due interventi  di cambiamento e di crescita e
prevede progettualmente: 

{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h}	l'uscita dall'isolamento e dalle
quattro mura domestiche, spesso autentica prigione; 
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h}	l'articolazione di uno spazio tra i
membri della famiglia,  in un contesto  reso molto difficile dalla
presenza del disabile. L' "assistenza" al bambino, al ragazzo  o
all'adulto disabili  sollevano i familiari da un impegno stressante
sia sul piano fisico, sia emotivo (quella che i volontari definiscono
'l'ora d'aria', segnalando così con questa definizione le barriere
invisibili create da una condizione permanente di inabilitˆ e
dipendenza, prigione che coinvolge anche i familiari); 
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h}	l'aumento di spazi  'privati' e
personali del disabile, annullati sovente - per le condizioni della
menomazione - dalla regressione ad una dipendenza totale dai familiari
per compiere gli atti quotidiani della vita. L'ascolto da parte del
volontario, infatti, delle storie di quotidianitˆ raccontate dal
disabile, rappresenta di per sŽ spesso il primo 'spazio privato' dopo
tanti anni; 
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h}	la rimessa in contatto con circuiti
sociali tali che consentano maggiore autonomia alla singola persona
disabile ed il soddisfacimento del desiderio di relazionarsi agli
altri; 
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 9 \h}	la creazione di spazi di gioco in
cui sia possibile  fare insieme utilizzando strumenti, materiali e
tecniche espressive.

IL VOLONTARIATO DI QUOTIDIANITÀ

Questo tipo di volontariato, domiciliare,  offerto a coloro che ne
fanno richiesta sia individualmente sia su proposta di organizzazioni,
servizi sociali territoriali, Žquipe, famiglie. Questa forma di
intervento domiciliare non prevede in alcun modo prestazioni di tipo
materiale (quali potrebbe svolgere ad es. una colf), ma  compiti di
compagnia, attivitˆ  di 'tempo libero', con l'impegno a trascorrere
bene del tempo insieme. 

In concreto, in questa forma di volontariato, il volontario raggiunge
una volta la settimana per tre ore circa il disabile che gli  stato
affidato, inventando   con lui il tempo da trascorrere insieme. 

Le attivitˆ che verranno svolte sono il tramite della relazione.

I punti di riferimento per il volontario sono: il conduttore del
gruppo di formazione, per la discussione delle 'osservazioni' ogni 15
giorni,  l'assistente sociale, che svolge un ruolo prezioso, non solo
nel momento della individuazione dei casi da seguire e
nell'abbinamento disabile/volontario, ma anche nel supporto
informativo e per ogni esigenza 'materiale' che abbia a che fare con
lo svolgimento del compito del volontario.

Il volontario ha la possibilitˆ di rivolgersi all'assistente sociale
in qualunque momento per affrontare qualsiasi problema sollevato dal 
disabile. La consegna ai volontari  di non fornire alcun sussidio o
prestazione materiale, mantenendo la loro funzione di testimone, come
eminentemente 'relazionale e simbolica', dunque il più possibile non
connessa con il fare.  Non viene data una cosa, una prestazione, un
aiuto materiale o un trasporto con propri mezzi, ma una presenza
attenta e disponibile all'ascolto.  Ai fatti concreti provvede, con la
competenza e le conoscenze che sono proprie del ruolo, l'assistente
sociale. 

Questa distinzione così netta  fra il conduttore di gruppo e
l'assistente sociale aiuta il volontario a differenziare a sua volta,
all'interno del proprio compito, ci˜ che pu˜ essere risolto con il
fare  e delegato all'assistente sociale, da ci˜ che invece riguarda 
il compito specifico del volontario: cio il prendersi cura non degli
aspetti materiali, ma della  relazione.   Non il 'fare',  ma lo stare
insieme che verrˆ rivisto nel gruppo di discussione. Anche per  il
disabile diventa più facile   vivere una nuova  esperienza  in cui non
venga solo aiutato, ma possa riscoprire  o scoprire il piacere di
stare con l'altro. 

Tutto ci˜ favorisce nel volontario, un coinvolgimento filtrato dalla
riflessione sugli affetti sperimentati e  non solo fondato su emozioni
immediate o, peggio, pietistiche. La 'leggerezza' della propria
presenza lo aiuta a diventare un interlocutore e un osservatore
empatico e privilegiato della situazione: questo favorisce lo sviluppo
di una  preziosa funzione di contenimento e modulazione delle angosce
presenti nel contesto familiare del disabile.

Il disabile  nel contempo si sente ascoltato  e capito le sue ansie
diventano  più tollerabili e meno spaventose. Sappiamo infatti quanto
il sentirsi capiti sia  nutrimento essenziale  per vivere, tanto
quanto il cibo.

Tutto questo processo, apparentemente facile,  nella pratica 
rappresenta una conquista, una maturazione ed  il risultato del
percorso  di crescita all'interno della relazione volontario/disabile
e all'interno del gruppo di formazione. 
 
Trascriviamo qui alcuni brani ricavati dalle relazioni dei volontari
al fine 
di ricostruire una sorta di ideale percorso del gruppo di discussione,
che in 
quanto esperienza partecipata, fin dai primi incontri crea una  storia
in  cui il passato diventa formazione per il presente, permettendo di
dare 
un senso costruttivo alla relazione volontario-disabile.


Agli inizi, i membri  trovandosi su un terreno sconosciuto  ricorrono
a stereo
tipie  condivise e comunicabili: ci˜ che viene portato al gruppo manca
di par
tecipazione e autenticitˆ, appartiene ad un mondo generalizzato e
anonimo. 
In questo primo tempo il gruppo  vissuto come un contenitore
rassicurante: 
questa  la prima fase  dell'essere insieme, nello stesso
tempo-spazio,  con lo 
stesso compito da svolgere. 

Il gruppo in questo momento iniziale ha lo scopo di fornire
l'opportunitˆ 
di un'esperienza ancora informe, in cui i volontari sono imbarazzati,
spaesati, 
interrogativi, ma contenti di essere protetti e di poter acquistare
fiducia.


L'AREA diviene così uno spazio intermedio di esperienza tra la realtˆ
interna 
dei singoli volontari (emozioni, pensieri, dubbi, scoramenti,
difficoltˆ) e 
la realtˆ esterna dei disabili e delle loro famiglie.


Le relazioni sulla prima visita, presentate dai volontari al gruppo,
contengono il racconto quasi unisono di ansie e incertezze legate
all'incontro con 
il disabile, percepito come un mondo nuovo da scoprire. 


Vania: "Non posso nascondere che ero un po' agitata. Salivo le scale
con diffi
coltˆ e quella porta sembrava aprisse un mondo sconosciuto, un mondo
diverso 
dall' apparente normalitˆ.

Irene: "Ed eccomi qui. Ho frequentato il corso, sono stata chiamata
dalla assistente sociale. Ho saputo di Anna Maria. Ho telefonato alla
sua mamma per fissare 
il primo appuntamento e ho  guidato fino a casa sua. Ma non ero io la
persona  che stava agendo, o meglio non mi sono resa del tutto conto
che ero io 
in prima persona ad essere coinvolta in questa esperienza.  Non mi
sono accorta 
di questo fino a quando, uscendo dall'ascensore ho visto una ragazza
fragile, 
ma nello stesso tempo forte. Forse perchŽ carica internamente di una 
energia che solo un desiderio avveratosi pu˜ produrre. Mi ha
abbracciata forte 
e mi ha dato due baci. DopodichŽ mi ha fatto entrare nella sua casa e
ho avuto 
la sensazione di avere ricevuto il permesso di entrare nella sua vita.

Mauro: "Dopo il colloquio telefonico avuto con la madre, e con Jacopo
stesso che aveva voluto parlarmi di persona, mi sono trovato
emozionatissimo a salire 
le scale del palazzo dove la famiglia abita. Arrivato con il fiatone,
mi trovo 

tutto emozionato a casa di Jacopo. 

Paolo: "Arrivo a casa di Roberto alle 18.30 esatte dopo un'attesa di
circa dieci 
minuti, trascorsi nella macchina posteggiata, cercando di rilassarmi.
Mi accoglie 
il padre, molto cordialmente, nel pianerottolo, non si accorge neanche
del tes
serino di riconoscimento che, goffamente, cerco di mostrargli.

Quasi ad evitare l'ansia che il primo incontro scatena, il disabile
viene descritto 
attraverso 1'handicap che presenta e con la prognosi prevista a
livello medico.


Renzo: "Mi hanno affidato il disabile Nicola che  sordo-muto". 

Luciano: "Dalle informazioni ricevute dalla madre, non  possibile
attendersi 
evoluzioni positive della sua condizione ed i farmaci che assume
riescono appena 
a contenere la situazione sotto controllo".

Laura: 'Maria a una ragazza di 22 anni, ma ha una capacitˆ
intellettiva di una 
bimba di 6-7, a 15 mesi  stata colpita da un'encefalite. Parla e
cammina normal
mente, legge e scrive con difficoltˆ a causa di un difetto ottico, la
pupilla 
ha movimenti sussultori, quindi non riesce a fermare le immagini,
porta occhiali 
da vista quando scrive o legge, ma questi servono solo ad ingrandire
le immagini.

Aurora: "Claudia a una ragazza di 26 anni colpita da tetraparesi
spastica all'
etˆ di nove mesi procurata da vaccino Sabin".


Nei primi incontri del gruppo, i volontari si ribellano alle "regole"
dell'AREA, sono "scandalizzati" che il loro compito non sia
traducibile nei termini di "fare amicizia"; tutti vogliono dare
affetto e vicinanza e più volte ripetono, 
riferendosi ai disabili " importante non farli sentire diversi".


La regola del tempo (i due anni previsti per l'esperienza del
volontariato guidato)
  la più invisa "Dopo due anni l'AREA ci licenzia".


La discussione di gruppo sull' esperienza dell'incontro con i
disabili, porta i 
volontari ad una serie progressiva di scoperte relative alla
autenticitˆ e all'immediatezza del sentire e all'uso del sentimento
come strumento di rapporto. 


In questa che potremmo per comoditˆ descrittiva chiamare seconda fase,
i sentimenti 
e la loro narrazione acquistano un posto assolutamente centrale
garantito dall'
AREA che si presta come uno spazio che    favorisce una sicurezza suf
ficiente entro cui i volontari possono esprimersi.


Il pensare in gruppo consente di esplorare le emozioni e le parole
diventano 
non più soltanto racconto di fatti, ma anche una narrazione di
affetti.


"Se le parlo come ad una bambina ho paura di offenderla,  ma se la
tratto da 
donna ho timore che non mi capisca",  scrive Silvana pensando a
Claudia.


La tetraparesi di Federica, del cui dolore Vania diventa
interlocutrice, diviene 
"paralisi della curiositˆ: Federica non  "incollata" al divano
soltanto perchŽ 
il suo corpo non asseconda  il suo desiderio di movimento, ma perchŽ
Federica ha allontanato da s il desiderio di esplorare il mondo.
Vania  propone 
allora a Federica di fantasticare insieme e  quando lo riferisce al
gruppo commenta:

'Non so perchŽ, mi sembrava potesse farle bene".

La ricerca della "logica" che guida di consueto le relazioni, viene
abbandonata:

Irene: "Sono stata lˆ circa due ore e quando ho detto che andavo via,
Anna Maria era molto dispiaciuta e mi ha chiesto se ritornavo il
giorno dopo. Io le ho detto di no e lei ha risposto -Ti prometto che
quando vado dal dentista faccio l'anestesia- 
	Sembra una risposta che non stia n in cielo ne in terra, per voi, ma
per me penso che abbia importanza. Forse rappresenta il primo segno di
fiducia che lei ha in me".

I membri del gruppo riorientano gli accadimenti del rapporto
volontario-disabile verso modalitˆ di relazione più adulta dove il
disabile non  l'handicappato che deve ricevere e l'altro il suo
benefattore che tutto dˆ, ma una persona che pu˜ acquisire strumenti
anche attraverso l'impegno e la fatica.

In una discussione di gruppo si sottolinea che Maria non sapeva nŽ
leggere nŽ scrivere.  Alle medie, una professoressa che Maria
ventiduenne ricorda ancora oggi affettuosamente, l'ha bocciata per due
anni riconoscendo potenzialitˆ che Maria stessa non utilizzava.  Oggi
Maria, seppure con difficoltˆ, scrive e legge.

Questa osservazione propone un riesame delle "regole" così tanto
rifiutate e criticate, quando l'AREA le aveva proposte come cardini
della propria modalitˆ di lavoro.

I limiti non sono soltanto soffocanti barriere, ma possono anche
divenire confini rassicuratori entro cui potersi muovere liberamente.

In un altro incontro di gruppo, dalla enorme solitudine di Massimo
(sia esterna, poichŽ dopo il matrimonio della sorella Massimo  solo),
sia interiore, poichŽ ai primi incontri Massimo era parso pressochŽ
insensibile agli stimoli che gli giungono, nasce la magia degli
affetti.   Massimo si riscuote e ricorda appropriatamente oggetti,
situazioni e personaggi che si collegano alle emozioni che sperimenta
nell'incontro.

Da quando ha visto la macchina che Paolo, il volontario, gli ha
indicato come sua, Massimo riconosce la Fiat Uno e sorridendo commenta
"la tua macchina".

Luciano scrive del piccolo William:

"All'arrivo prima sorpresa: W. mi riconosce subito, mi afferra e mi
trascina nella sua cameretta. Immediatamente si inizia a giocare con
la cassa e i cubi. Nessun altro gioco lo interessa. Poi, finalmente,
un'idea: un gioco veramente rumoroso  l' unico modo per fargli
accettare qualcosa di nuovo.  In una piccola base quadrata inseriamo
dei pezzi ad incastro fino a formare una specie di aereo. Poi,
simulando il rumore del motore, lo faccio roteare per la stanza fino a
farlo atterrare sul pancino. A questo punto risate a crepapelle.
Conclusione: due serate di voli, atterraggi e abbracci".

La relazione volontario-disabile si sposta a mano a mano dalla
considerazione dei bisogni che conducono all'impotenza, alla lettura
del desiderio che porta invece al progetto.

Paolo: "Mi pare Massimo si crei delle situazioni all'interno delle
quali  si trova completamente a proprio agio, parlando e discutendo
per quello che lo riguarda in modo sbalorditivo se confrontato a
quanto sia indifferente rispetto ad altre situazioni. Quindi sembra
che abbia un grande bisogno di compagnia, di gente con cui parlare,
che gli presenti delle situazioni differenti da quelle solite in modo
da aumentare i suoi interessi e le sue attenzioni, cercare di creare
in lui dei nuovi stimoli che lo rendano più partecipe".

Nell'ultima fase del gruppo, quella che potremmo chiamare del
comprendere, la relazione volontario-disabile, così tanto indagata ed
elaborata porta alla scoperta, prima fra tutte, delle necessitˆ di
liberarsi del pregiudizio secondo cui l'handicappato ha solo dei
bisogni nei confronti dei quali si pu˜ solo dare senza mai aspettarsi
di poter ricevere.

Il linguaggio che il gruppo utilizza a questo punto non  più uno
strumento per difendersi (le parole diagnosi, prognosi, bisogno,
malattia, ecc.), ma diventa parola per stare insieme.

In una seduta di gruppo, i volontari, dopo aver ascoltato le relazioni
previste, si sono interrogati sull'oggetto "esperienza volontariato"
cercando di "comprendere" appunto che cosa accade all'interno
dell'esperienza stessa.

Paolo: "Noi portiamo l'ascolto. Queste persone ascolano sempre, anche
Roberto come vi ho detto. Noi siamo lì per loro e li ascoltiamo".
Mauro: "E'  vero, per˜ portiamo anche il dubbio. Loro hanno solo delle
certezze: la malattia, le giornate al C.S.T., le gite, qualche
incontro, la TV. Noi dentro a queste abitudini e certezze mettiamo dei
dubbi. E' solo il dubbio che fa pensare".
Silvana: "Mi faccio degli scrupoli perchŽ a differenza di quello che
succede nei rapporti normali, Claudia mi parla e mi racconta. Poi si
ferma e mi dice:  -Ora parla tu, racconta.-  Io faccio delle cose che
lei non pu˜ fare. Allora non sono solo io che faccio venire dei dubbi
a Claudia,  anche lei che li fa venire a me. Cosa le dico? Racconto
quello che faccio, ne avrei voglia, per˜...".
Irene: "Credo di aver capito.... E' la differenza fra condividere le
esperienze, e allora loro non possono fare le cose come noi, e il
racconto invece di  quello che si  fatto, le parole, i racconti,
quelli sì che si possono dividere".

IL VOLONTARIATO  NEI LABORATORI.

I laboratori

L'AREA sta sperimentando un metodo di intervento che si concretizza in
attivitˆ di laboratorio che offrono a ragazzi disabili la possibilitˆ
di acquisire o migliorare abilitˆ specifiche, confrontarsi con se
stessi, i propri limiti e le proprie potenzialitˆ, muovendo nelle
dimensioni del gioco, del divertimento e del piacere.

I laboratori attivati presso l'AREA sono due: laboratorio di musica e
laboratorio di colore,  rivolti a disabili di etˆ compresa fra i 15-25
anni.

I gruppi di ragazzi disabili sono guidati da esperti verso la
conoscenza di tecniche e di luoghi per loro poco familiari e carichi
di opportunitˆ creative, l'aspettativa va  verso un impegno dei
ragazzi nell' attivare capacitˆ residue o mai sperimentate.

La musica presenta intrecciate fra loro una severa rigorositˆ e ampi
spazi creativi, rappresenta un interesse per la maggior parte delle
persone, ed in particolare per le persone disabili spesso costrette ad
una vita avara di relazioni e quindi bisognosa di interessi fruibili
in casalinga solitudine. La peculiaritˆ del corso di musica sta nel
ribaltamento di posizione che esso permette, infatti gli allievi,
partendo dalla tendenza a consumare passivamente, possono
intraprendere un cammino nel mondo sonoro in veste di
produttori-protagonisti fino ad arrivare a padroneggiare questa nuova
possibilitˆ di comunicazione.

Il colore  forse l'attivitˆ artistica che  offre i maggiori strumenti
utili a stimolare la capacitˆ di esprimere qualcosa di s attraverso
un codice diverso da quello verbale, il codice dei colori, delle
linee,  delle forme. 

Con l'insegnamento delle diverse tecniche i ragazzi sono guidati in un
percorso verso un'espressione sempre più strutturata delle proprie
rappresentazioni, passando dall'informe macchia di colore al rispetto
degli spazi e delle forme, in questo continuum di strumenti, ognuno
pu˜ attestarsi al livello più consono alle proprie potenzialitˆ.

Ogni corso, condotto da un esperto, contempla la presenza di
sette-otto ragazzi disabili e di due-tre volontari, per circa due anni
il gruppo si riunisce due pomeriggi alla settimana per tre ore, di cui
due di lavoro ed una di socializzazione.

I ragazzi possono partecipare ad un solo corso, non ripetibile, questo
per facilitare loro lo sviluppo di un senso di appartenenza e
migliorare le possibilitˆ di un investimento affettivo di rilievo.

I volontari

In ogni laboratorio collaborano due-tre volontari, per questo tipo di
esperienza viene privilegiata la scelta di giovani, in etˆ simile a
quella dei ragazzi disabili per agevolare la possibilitˆ di una buona
atmosfera di gruppo e di relazioni bilanciate. 

Anche per i volontari nei laboratori vale la regola del tempo che
delimita l'esperienza.

La presenza di ragazzi volontari  diventata un elemento fondamentale
nel funzionamento dei laboratori, in quanto permette di realizzare dei
gruppi estremamente eterogenei in cui ognuno pu˜ sperimentarsi in
relazioni a diversi livelli.

I ragazzi disabili vivono un'esperienza di accettazione e di rapporto
con persone "normali", autentica ed intensa, in una dimensione di
reciproco scambio, questo costituisce uno stimolo ad uscire da una
posizione depressiva inevitabile in un gruppo di disabili.

Un'atmosfera più calda e delle figure in cui identificarsi agevolano i
processi di apprendimento su cui fanno leva le attivitˆ.

Pertanto il volontariato nei laboratori si propone come trait-d'union
fra  le rappresentazioni di un mondo di impossibilitˆ ed uno in cui si
pu˜ giocare con i colori, con i suoni, in cui qualcosa vissuto come
irraggiungibile diventa alla portata. Saranno proprio le relazioni che
si struttureranno nei gruppi  ad assolvere questa funzione di volˆno.

I volontari hanno una preziosa funzione di supporto ai ragazzi
disabili nell'affrontare le difficoltˆ che l'attivitˆ comporta,
supporto che si concretizza nell'aiutarli a padroneggiare una
situazione  o nel lavorare a fianco a loro  offrendosi come modelli di
stimolo e d'identificazione.

Essi diventano così sostegno e modello a cui potersi rivolgere, una
sorta di  "io ausiliario" che accompagna i ragazzi disabili in un
percorso di autonomia. Spesso  gli stessi volontari palesano
difficoltˆ laddove i ragazzi portatori di handicap riescono
agevolmente,  questo un aspetto che contribuisce enormemente a
relativizzare i rapporti ed a far crescere in tutti la consapevolezza
di limiti e potenzialitˆ.

La difficoltˆ maggiore che un volontario  pu˜ incontrare in questo
compito  legata al trovare un equilibrio nei propri interventi, ossia
al tenere a bada il bisogno di essere utile, di aiutare a tutti i
costi, in sostanza deve avere presente lo spazio dell'altro.

Iniziando a frequentare i laboratori i volontari scoprono di trovarsi
di fronte a ragazzi con un loro carattere, loro gusti e loro passioni,
scoprono di provare più simpatia e sintonia per qualcuno che per altri
e, soprattutto si rendono conto che spesso non sono loro a condurre il
gioco, in poche parole scoprono di avere a che fare con persone prima
che con handicappati.

Queste scoperte avvengono  tramite un processo di trasformazione 
reciproca e sinergica, laddove  l'intervento dei volontari agevola lo
sviluppo della "rappresentazione di sŽ come persone in grado di...",
nei ragazzi disabili; a sua volta, tale sviluppo mette in crisi i
volontari, che si trovano costretti a confrontarsi con persone che non
coincidono con le loro rappresentazioni, inducendoli a rimettere in
costante discussione la loro funzione. Riteniamo pertanto  che la
modificazione dell'uno induca la modificazione dell'altro in un
rapporto di reciproca crescita, arricchimento e modificazione. Al
termine dell'esperienza ai volontari resta la consapevolezza di aver
fatto per se stessi non meno di quanto hanno fatto per gli altri, in
una piacevole dimensione di scambio.

Riportiamo la relazione di una volontaria, Chiara, che, al termine
della sua esperienza, descrive così il suo percorso:

"Quando ho cominciato la mia esperienza di volontaria non avevo
proprio idea di che cosa potesse significare per me. Dovevo stare con
persone  di cui non sapevo nulla, con problemi che mai avevo
affrontato, in un contesto che anche a me era del tutto nuovo.
Per˜ avevo voglia di provare, conoscere realtˆ diverse dalla mia e
verificarmi su alcuni punti del mio carattere, modi di vedere e vivere
la vita.
Ho chiesto di collaborare mentre stavo attraversando un momento molto
difficile, mi sentivo incapace di amare e contemporaneamente pensavo
non fosse possibile.
In un modo o in un altro dovevo tirare fuori l'amore che sentivo di
avere dentro, non poteva rimanere arido e improduttivo. Così ho
pensato che avrei potuto dare una mano a chi non ha avuto la fortuna
sfacciata che invece ho avuto io.
Capire come comportarsi con ciascun ragazzo non  stato per nulla
facile. Anzi, ad essere sincera, devo dire che neanche adesso so come
avrei dovuto fare. Ma all'inizio ero molto più preoccupata  e mi
pesava tantissimo quel lunedì pomeriggio, che mi metteva di fronte ai 
miei limiti, alla mia deficienza. Lì in mezzo l'handicappata ero io.
Ero io incapace di comunicare, di capire ci˜ che gli altri mi dicevano
o mi volevano trasmettere. E si che avrei tanto voluto regalare un po'
di gioia, creare dei momenti "lontani" da quella realtˆ così triste; o
meglio dimostrare che quella realtˆ, triste poteva anche non essere,
in certi momenti almeno. E invece ho pensato di non essere la persona
giusta per comunicare gioia. Non riuscivo mai a scaricare tutti i
problemi personali, e così li portavo sempre con me e tutti se ne
accorgevano. Chissˆ , forse se ne facevano anche carico. Per˜ ero
contenta di stare con loro, anche se magari non sembrava. Con il
tempo, con la conoscenza, i rapporti si sono fatti più rilassanti,
penso anche più veri: tutti un p˜ meno diffidenti, più aperti e 
disposti al gioco me compresa. Penso sia significativo che da un certo
momento in poi tornando a casa si cantava tutti insieme."


CONCLUSIONI

Il progetto qui presentato di formazione del volontariato si basa
sulla convinzione che nessun altro, tranne un volontario, potrebbe
occuparsi della disabilitˆ senza  nulla fare e contemporaneamente
raggiungere l'obiettivo di un significativo cambiamento  di qualitˆ di
vita,  soltanto  attraverso la relazione. L'intenzionalitˆ progettuale
di un professionista, in effetti, non potrebbe creare i presupposti di
un margine di gioco tale da far perno sulle potenzialitˆ residue e
nascoste del disabile per svilupparle. 

Il volontario usa se stesso non per un progetto giˆ definito  (come 
invece il caso del professionista) per costruire insieme con il
disabile un rapporto che non   giˆ dato a priori, ma nasce
progressivamente nel corso degli incontri che arricchiscono entrambi. 

Questo apprendimento 'su di sŽ', che avviene nel volontario, 
costituisce a giudizio dell'AREA la motivazione all'attivitˆ stessa  e
la sua retribuzione simbolica. Si potrebbe descrivere il cammino del
volontario nell'AREA come un percorso di cambiamento da un rapporto  
centrato sul fare la caritˆ, in cui  assolutamente indifferente
l'identitˆ della persona che riceve, poich ci˜ che importa  il
gesto, alla modalitˆ relazionale del fare un dono,  dove  si
presuppone che chi riceve possa restituire. La reciprocitˆ   diviene
così un aspetto centrale dell'incontro-scoperta  volontario/disabile. 


In sintesi il progetto di formazione qui descritto poggia sui seguenti
punti:
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h}	considerazione del disabile come
persona e non come  individuo mancante;
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h}	uso della relazione e del gioco
come strumenti di cambiamento;
{SIMBOLO 183 \f "Symbol" \s 10 \h}	reciprocitˆ tra chi dˆ e chi
riceve, a partire dal riconoscimento delle rispettive differenze;

{PAGINA \# "'Pagina: '#'
'"|Pagina: 4
}[PS1] esplicitare che cosa significa fare il volontario diverso
dall'essere volontario

Martinasso,  Serniotti,  Tesio - La formazione del volontariato - 
AREA - Torino


{PAGINA|2}