Text From: Subject: AMNESTY INTERNATIONAL CHIEDE AI GOVERNI DEL MONDO DI AIUTARE IL BURUNDI NEL RIPRISTINO DEI DIRITTI UMANI DOPO IL TENTATO COLPO DI STATO Amnesty International ha rivolto un appello a tutti i Governi affinch aiutino il Burundi a ristabilire il rispetto dei diritti umani. La violenza etnica seguita al tentato colpo di stato del 21 ottobre ha provocato pi di centomila morti e quasi un milione di sfollati. Ministri del Governo legittimo hanno dichiarato di non fidarsi dell' Esercito - di cui si teme un prossimo nuovo tentativo di colpo di stato - che non ha garantito la minima protezione nel corso della sollevazione del 21 ottobre in cui sono stati uccisi il Presidente Melchior Ndadaye e diversi tra ministri e parlamentari. Pi di 700.000 persone si trovano attualmente nei campi profughi di Ruanda, Tanzania e Zaire (paesi alle prese con carestie, instabilit politica e in cui si verificano frequenti violazioni dei diritti umani), dove si calcola che muoiano almeno 180 persone al giorno per malattie e denutrizione. Altre 250.000 persone hanno abbandonato le proprie case e si nascondono all'interno del Paese. Questo milione di persone fuggito alla carneficina iniziata col tentato colpo di stato del 21 ottobre, organizzato da una parte delle Forze Armate che sono in mano all'etnia maggioritaria Tutsi. Bande di Hutu hanno immediatamente scatenato la vendetta uccidendo migliaia di civili Tutsi, distruggendo ponti e bloccando strade per ritardare l'arrivo dei militari. Ma quando questi sono arrivati iniziato il massacro degli Hutu, uccisi a migliaia persino nelle chiese, nelle scuole e negli ambulatori. La repressione stata durissima specialmente nelle province di Gitega, Karuzi e Ruyigi. Moltissime le vittime tra le donne e i bambini, fucilati alle spalle mentre tentavano la fuga. Sebbene il numero delle uccisioni sia diminuito alla fine del 1993, violazioni dei diritti umani sono segnalate anche in questi giorni e rimane il problema dei rifugiati, che non accennano a rientrare in un Paese sconvolto dalla guerra civile. Data la tensione tra Governo del Burundi ed Esercito da un lato, e tra Hutu e Tutsi dall'altro, a giudizio di Amnesty International vi bisogno di una mediazione neutrale per favorire il ripristino della legge e il rispetto dei diritti umani. Il Governo dei Burundi ha gi chiesto aiuto alle Nazioni Unite e all'Organizzazione per l'Unit Africana, senza ricevere risposte significative. Amnesty International si chiede cosa stiano facendo, ora che il Burundi ha maggiore bisogno di aiuto, i mezzi d'informazione, i governi e le organizzazioni internazionali che immediatamente condannarono il tentato colpo di stato. Amnesty International rivolge ora un appello ai Governi e agli organismi internazionali affinch accolgano gli appelli delle organizzazioni umanitarie ed assistano i rifugiati fornendo cibo, cure mediche e una sistemazione meno precaria. Amnesty International chiede inoltre ai Governi e alle organizzazioni internazionali di patrocinare l'apertura di una trattativa tra Governo del Burundi, partiti politici, esponenti della societ civile e Forze Armate per trovare una soluzione all'attuale crisi. Amnesty International ritiene particolarmente necessario assistere il Governo in carica nella creazione di una Commissione d'inchiesta imparziale e dotata di pieni poteri, che possa individuare e sottoporre a processo i responsabili delle violazioni dei diritti umani commesse a partire dal tentato colpo di stato del 21 ottobre. 232, 2-Feb-94, 16:48, I-----, 4150 ---------------------------------------------------------------------------------- Marted, 3 maggio 1994 12:46:55 Mani Tese Item From: Stefano Squarcina Subject: Burundi, muore un sogno To: Mani Tese (+/- 120 righe, +/- 7700 battute) BURUNDI, MUORE UN SOGNO Il 21 ottobre scorso un colpo di stato ha stroncato nel sangue una delle piu' genuine esperienze democratiche del continente africano. Con Ndadaye scompare una delle figure africane piu' importanti degli ultimi anni. di Stefano Squarcina Il significato politico del recente colpo di stato in Burundi e l'assassinio del suo Presidente eletto -Melchior Ndadaye- per mano dei generali golpisti assume un significato che va oltre i confini del piccolo paese centrafricano. Per decenni in Burundi ha imperato un regime di apartheid che, per la sua brutalita', trova pari solo nel Sudafrica del famigerato Peter Botha. Bujumbura come Johannesburg: solamente che questa volta era un'etnia minoritaria di neri, i Tutsi, a spadroneggiare su un'altra etnia di neri -estremamente maggioritaria- gli Hutu. Come in Sudafrica, agli Hutu non veniva riconosciuto nessun diritto civile, culturale o politico. La loro condizione di maggioranza oppressa e' sempre stata vissuta nell'indifferenza della comunita' internazionale: forse perche', in Burundi, non ci sono ne' giacimenti di petrolio ne' di diamanti o di oro... SISTEMA DI APARTHEID L'apartheid burundese si fece istituzione quando, nel 1966, il partito dei minoritari Tutsi -l'UPRONA, "Unita' per il progresso nazionale"- divenne partito unico, soffocando cosi' anche gli aspetti formali di una democrazia che, nella sostanza, aveva gia' smesso di esistere da decenni. Gli uomini forti di questo regime antidemocratico erano -guarda caso- generali e colonnelli provenienti dalle file di un esercito stradominato dall'etnia minoritaria Tutsi. In Burundi, in questi anni, tutti i Presidenti erano contemporanemante dei militari. Maggiore dell'esercito era anche il Tutsi Pierre Buyoya che, il primo giugno 1993, durante le prime elezioni democratiche della storia del Burundi, venne sconfitto nelle urne dal poeta Melchior Ndadaye, esponente degli Hutu. Il partito di quest'ultimo -il FRODEBU, il "Fronte per la democrazia in Burundi"- aveva conquistato finalmente, per la prima volta, la Presidenza della Repubblica. Cio' non fu che il risultato ultimo di un processo di democratizzazione interamente africano, totalmente nazionale, che aveva dimostrato al mondo come fosse possibile per gli africani cercare e trovare una propria strada per la democrazia. Senza imposizioni dall'esterno. Senza che la democrazia avesse l'odore degli scranni parlamentari di legno di Parigi, Londra o Washington. UN PASSATO DI ODIO L'elezione di Ndadaye, sostenuto dalla maggioranza degli Hutu, avvenne dopo decenni di scontri etnici apocalittici. Ad esempio, nell'aprile 1972 ben centocinquantamila Hutu furono massacrati dall'esercito; altri venticinquemila nell'agosto del 1988. E dal 21 ottobre scorso hanno perso la vita -si dice- sessantamila persone tra civili Hutu e Tutsi. Gli eccidi realizzati dall'esercito -composto al 100% da Tutsi- avevano l'obiettivo di stroncare fisicamente ogni opposizione interna al regime militare. Ma non poterono impedire che, nel 1986, Ndadaye fondasse clandestinamente il FRODEBU, partito che verra' legalizzato solo nel marzo 1992 e che lo portera' ai vertici dello Stato. Fuggito in Rwanda nel 1972 per scampare alla pulizia etnica ordinata dai militari Tutsi, Ndadaye ritornera' in Burundi solo nel 1981 dove lavorera' come psicologo a Bujumbura. E vi trovera' la morte il 21 ottobre 1993, da Presidente della Repubblica, per impiccagione. Per ordine di generali golpisti che non avevano accettato che il Capo dello Stato non fosse un loro fedele sottoposto e, per di piu', dell'etnia "avversaria". Gia' prima di prendere possesso delle sue funzioni, Ndadaye sfuggi' ad un attentato: l'obiettivo dichiarato dei suoi nemici era impedirgli di dare seguito ad un piano di riforme che, alla lunga, avrebbe ridotto i Tutsi a quello che sono: una minoranza interna a cui, con il tempo, sarebbero stati tolti gli ingiustificati privilegi di sempre. GRANDI CAPACITA' Ma Ndadaye era prima poeta che uomo di stato, non si abbandonava agli eccessi del potere: si guardo' bene dal monopolizzarlo, stretto com'era -anche- dalla ricerca di un consenso nazionale su cui basare la sua azione di governo. Fu per questo che, con un gesto che colse tutti di sorpresa, nomino' Primo Ministro una donna, per di piu' Tutsi: l'Onorevole Sylvie Kinigi. Il messaggio era chiaro: nessun sopruso doveva essere commesso in un paese che, nella sua storia, ne aveva conosciuti troppi. In poche settimane, la stima e i riconoscimenti internazionali non mancarono. L'esperienza del Burundi cominciava, come si dice, a far scuola. E a richiamare nella mente degli africanisti i momenti piu' alti, piu' nobili della storia africana che, nonostante tutto, e' piena di gente come Ndadaye. In silenzio, il Burundi stava dando lezioni di democrazia al mondo. Ma il sogno e' stato stroncato. L'ex-ministro degli Interni del Presidente Buyoya, Francois Ngeze, il colonnello Jean Bikomagu e l'ex-Presidente Jean-Baptiste Bagaza si sono messi a capo di un golpe che, in poche ore, ha ucciso il Presidente, sei ministri, prodotto sessantamila morti e centinaia di migliaia di profughi verso Rwanda e Zaire. GOLPE SENZA FUTURO L'immediato isolamento internazionale -Commonwealth, Comunita' Europea, OUA e USA hanno agito di concerto- ha impedito di dar seguito a questa assurda esplosione di violenza, facendo fallire la rivolta. Che, di fatto, ha prodotto solo caos in un paese che si sta preparando alla stagione delle pioggie la quale, come di consueto, complichera' per settimane le attivita' umane e condannera' i profughi a condizioni sub-umane. Il golpe ha scatenato nel paese un'ondata di violenza senza limiti, giocando sugli odii inter-etnici di lunga data. Basta leggere l'intervista a fianco del portavoce del governo democratico, On.Nghedahayo, per avere solo un accenno di quanto e' successo. Nostre fonti a Bujumbura parlano di bombardamenti diretti sulla popolazione civile, di rastrellamenti fisici, di cannonneggiamenti diretti sulla gente. Il tutto senza che i militari abbiano ottenuto nulla, se non l'isolamento mondiale. Secondo la Costituzione, Presidente ad-interim del Burundi e' ora il Primo Ministro Sylvie Kinigi, fino a quando il Parlamento riconvocato non rieleggera' un Presidente Costituzionale con il compito di portare il paese a nuove elezioni presidenziali. Il vero problema che deve affrontare il governo e che comunque va prima o poi risolto e' la composizione etnica dell'esercito e la sua regionalizzazione. Il governo ha chiesto l'invio di una forza internazionale di interposizione, ma l'ONU ha fatto sapere di non avere ne' soldi ne' l'intenzione di inviare truppe in Burundi. Solo l'Organizzazione dell'Unita' Africana pare interessata a dare assistenza militare ad un governo i cui ministri sono fuggiti in ambasciate straniere oppure a Kigali, nel Rwanda. VERSO LA DEMOCRAZIA Non tutto e' perduto in Burundi. L'esercito sa di essere in un angolo, senza nessuna prospettiva politica. Il governo della Kinigi, fedele al defunto Ndadaye, pare intenzionato a continuare sulla strada del suo ispiratore. La reazione della Comunita' Europea, primo partner del Burundi, contribuisce all'isolamento dei golpisti. Anche la reazione del Papa Giovanni Paolo II e del Vaticano e' stata immediata e positiva, ma si scontra con un Conferenza Episcopale locale strettamente legata al vecchio potere e che mai ha preso le parti degli oppressi Hutu in Burundi, che sempre e' stata "fredda" con Ndadaye. Esperienze come quelle del Burundi non possono essere cancellate da colpi di stato. Esse sedimentano nella popolazione un afflatto di liberta' e di democrazia che prima o poi e' destinata a vincere. Ineluttabilmente. La maggioranza ha saputo dimostrare che e' possibile una "via africana alla democrazia". Una minoranza che detiene il controllo delle armi puo' solo rinviare questo cammino, non di certo cancellarlo.